Francois Pienaar, capitano degli Springboks:
«Così ho insegnato a Matt Damon i segreti
del rugby e della Nazione Arcobaleno»

Francois Pienaar, capitano degli Springboks: «Così ho insegnato a Matt Damon i segreti del rugby e della Nazione Arcobaleno»
di Paolo Ricci Bitti
Mercoledì 24 Giugno 2015, 00:39 - Ultimo agg. 12:31
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​«Come ho insegnato a Matt Damon a giocare a rugby da campione del mondo? Beh, insomma, diciamo che in campo non se l'è cavata male, anche se è stato ancora più bravo a imparare il duro accento afrikaan dei boeri». È toccato a François Pienaar trasformare una star di Hollywood in un credibile asso del rugby, per di più in uno degli omoni della mischia.*

Ed è toccato sempre al capitano del Sud Africa, trionfatore ai Mondiali 1995, spiegare a Clint Eastwood e Morgan Freeman che cos'era fino a 15 anni fa il rugby per l'enclave bianca e per la maggioranza nera e che cos'è invece diventato per la “nazione arcobaleno” voluta da Nelson Mandela.





«Il regista e i due attori mi hanno detto con grande umiltà - continua Pienaar, 43 anni, al telefono da Città del Capo dove adesso è un quotato consulente finanziario - di non sapere nulla di rugby, anche se poi ho scoperto con quanta professionalità si fossero documentati».

Nel rugby non c'è trucco, non c'è inganno: bisogna sempre metterci la faccia, a costo di rompersela.

«E Matt ce l'ha messa, la faccia: si è allenato, si è coperto di lividi, non si è mai tirato indietro anche negli scontri molto realistici, diciamo pure veri, con gli altri attori che poi sono rugbysti professionisti. Ma soprattutto, fin dal primo incontro a casa mia, ha voluto assorbire quanto più poteva la mia esperienza di quella stagione straordinaria. Ha vissuto proprio come uno Springbok, l'ho portato con me ovunque, anche a partecipare a una gara di ciclismo per beneficenza».

Assorbire sensazioni ed esperienze va bene, sfinirsi con il vocal coach di lingua afrikaan anche, però lei è più alto di una spanna e pesa 30 chili di più di Damon.

«In effetti quando ho aperto la porta di casa ho guardato dritto davanti a me e non ho visto nessuno, salvo poi abbassare gli occhi e scoprire che a suonare il campanello era stata una stella del cinema: immaginate anche la faccia di mia moglie Nerine e dei miei figli. Ma poi ripeto, per quanto il regista Eastwood abbia voluto curare il realismo delle scene di gioco, l'importante era trasmettere a Matt l'orgoglio e l'emozione di lottare per la Coppa del Mondo e aiutare così Mandela a unire il paese che usciva dagli anni dell'apartheid».

Anche lei, come Damon fa vedere nel film, era così emozionato quando è stato ricevuto dal neopresidente sudafricano reduce da 27 anni di prigionìa?

«Esattamente così, Matt è stato eccezionale nel rendere il mio stupore e la mia felicità nel constatare con quanta amicizia Mandela mi ricevesse nel palazzo del capo dello stato a Pretoria. In fin dei conti ero il capitano della squadra degli Springboks (l'antilope ricamata sulle maglie verdi, ndr) che la maggioranza nera vedeva come totem del potere boero».

Ma ”Madiba” le ha proprio chiesto di vincere la coppa del mondo? Nella finale non eravate nemmeno favoriti.

«Il film si prende qualche comprensibile licenza, ma certo, Mandela, con grande coraggio e intuito, sfidando la maggioranza nera e anche il pronistico, ha fatto capire a me e poi anche alla squadra che avevamo la possibilità eccezionale di sostenerlo nella costruzione del nuovo Sud Africa che del resto continua tuttora su quella linea, sia pure fra le difficoltà di una giovane democrazia. Pensi che non ho mai voluto rivedere in tv la finale per non attenuare l'emozione di quel giorno, quando il presidente stupì noi Springboks e il mondo entrando in campo prima della partita indossando la mia maglia».

Adesso in Invictus si sarà rivisto?

«È diverso: è ripercorrere il privilegio di essere stato sul set con “campioni” come Damon, Eastwood e Freeman. Un regista come lui è un capitano come piace a me: poche parole, molto esempio. Il suo carisma è sempre avvertibile».

E Freeman, allora, sembra più Mandela di Mandela: accento, posture, tic: non pare di essere di nuovo all'Ellis Park di Jo'burg il 24 giugno 1995?

«Ecco, sì, Morgan è così. Mi sono impressionato a seguire le riprese, dire fenomenale non basta. Se noi abbiamo vinto la Coppa del Mondo, se Mandela ha meritato il Nobel per la pace, Freeman deve ricevere l'Oscar».

* Intervista realizzata nel gennaio 2010 all'uscita del film Invictus in Italia. Matt Damon e Morgan Freeman ricevettero la nomination all'Oscar per miglior attore protagonista e migliore attore non protagonista.
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