Rugby, Sei Nazioni, i signori della mischia: Cuttitta e De Carli, da azzurri a rivali nel duello tra Scozia e Italia

Massimo Cuttitta e Giampiero De Carli in azzurro (Foto di Diego Forti)
Massimo Cuttitta e Giampiero De Carli in azzurro (Foto di Diego Forti)
di Paolo Ricci Bitti
Venerdì 27 Febbraio 2015, 20:48 - Ultimo agg. 11 Aprile, 21:48
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Roma caput mischia. Adesso nel Sei Nazioni sono italiani due dei sei assistant coach del pack, la casa-madre del rugby. Mica poco nell'antico mondo del Torneo difesi gelosamente dagli anglosassoni.











Di più: uno di loro è di Roma, l'altro di Latina. E ancora: Giampiero De Carli e Massimo Cuttitta hanno condiviso tante emozioni, a partire dalla maglia della Nazionale. Cuttitta primo azzurro a essere ingaggiato in Inghilterra e allenare all'estero (nazionale scozzese, dal 2007), De Carli primo italiano a insegnare rugby ai francesi (Perpignan, 2012), ugualmente difficile. Tanto. E ora allena la mischia dell'Italia.

Entrambi hanno giocato per il Calvisano e per l'allora squadrone Milan che alla fine degli anni '90 si faceva rispettare in Europa. Domani però l'epopea del Torneo li mette uno contro l'altro nel tempio di Murrayfield.



La maggioranza relativa degli assistent coach del pack del Torneo è azzurra, c'è una scuola italiana della mischia?



C. "Forse sì, l'Italia ha sempre avuto una buona tradizione nel pack e se io e Giampiero siamo nei posti dove siamo vuol dire che abbiamo da dire qualocosa".

D. "Più che una scuola, c'è il riconoscimento al fatto che il lavoro duro paga e che anche nel rugby, nell'allenare, intendo, gli italiani sanno farsi valere".



La difficoltà più grande che avete dovuto superare?



C. "Serve grande tenuta psicologica, e in ciò mi ha aiutato il crescere in Sud Africa, per resistere all'estero dove ogni giorno sei sotto esame. Ma ogni sacrificio è ripagato: mi ha cercato anche l'Irlanda e ho tenuto corsi in Argentina, dove la mischia è sacra: soddisfazioni enormi".



D. "In Francia il Top 14 è talmente esasperato che si impara a vivere sempre in tensione, con coraggio e umiltà al tempo stesso. Ogni grammo di fiducia va conquistato, ma poi nessuno mette in dubbio i risultati raggiunti".



Qualche giornalista inglese storce il naso di fronte ai tanti ko azzurri...



C. "Ma Quando mai? Erano solo considerazioni e anche male interpretate. I miglior club inglesi hanno ingaggiato tantissimi azzurri e in Scozia stiamo attendendo con forte rispetto l'Italia: con tutto il sangue che ho dato per portare l'Italia nel Sei Nazioni non cado nelle provocazioni. Per tutti gli avversari gli azzurri sono con merito nel Torneo".

D. "Chi conosce lo spirito ultrasecolare del Sei Nazioni sa che l'Italia vi partecipa a pieno diritto. Gli azzurri, in realtà, trovano grande rispetto ovunque vanno, semmai è in Italia che bisogna ancora lavorare per far capire che cosa significhi il contesto del Sei Nazioni anche se credo che l’entusiasmo del pubblico all’Olimpici e il boom del minirugby stiano a indicare la diffusione crescente dei valori di questo sport".



Però l'Italia dal 2000 doveva fare di più.



C. "Sì, ma guardate che anche in Scozia c'è voluto tempo dopo l’avvento del professionismo e del Sei Nazioni: qui ho contribuito a creare un'unica scuola per la mischia dalle accademie, alle franchigie, alla nazionale. Non abbiamo tanti giocatori, ma questa coerenza tecnica permette di moltiplicare al massimo i talenti. In Italia si comincia a farlo ora. E non bisogna dimenticare che sia in Italia sia in Scozia i giocatori di alto livello non abbondano. E allora bisogna lavorare su quello che si ha, come i meccanici di una volta che riparavano i pezzi, non come quelli di oggi che cambiano tutto. Se un giocatore attraversa un periodo ”no” intervengo per riportarlo in carreggiata, mica lo sostituisco con un altro che magari poi non c’è. Ed è chiaro che questo comporta un impegno molto pesante e al tempo stesso una sfida avvincente".

D. "Per noi giocatori è stato durissimo conquistare l'accesso al Torneo, ma poi è stato il movimento italiano che ha faticato ad adeguarsi: ora un telaio su cui lavorare c'è, io stesso partecipo agli allenamenti delle franchigie. Dobbiamo educare tanti tecnici perché dai vivai iniziano ad arrivare tanti potenziali giocatori di livello. Per adesso dobbiamo lavorare con quello che c’è, che comunque non è poco considerando il divario di tradizione e di movimento che esistono con tutte le rivali del Sei Nazioni".



Gli allenatori che hanno più influito nella vostra formazione?



C. ”Da giocatore Fourcade e Coste. E poi il gallese Lyn Howells, decisivo nella mia scelta di iniziare l’avventura da allenatore. Poi mi ritengo privilegiato di aver lavorato in Scozia fianco a fianco dell’inglese Robinson, un professionista enorme”.

D. «Georges Coste da giocatore, insieme a Marc Dalpoux, con cui ho poi iniziato ad allenare. E adesso Jacques Brunelcon cui c’è grande sintonia. Ad ogni modo l’esperienza all’estero mi ha fatto capire che tra i migliori allenatori italiani e il topo degli allenatori italiani la distana non è così grande: anzi, le difficoltà che gli italiani affrontano, anche extrarugbystiche a cominciare dalle storiche arretratezze del nostro paese in fatto ad esempio di pratica dello sport di base, li rendono ancora più capaci”.



Che cosa temete l'uno dell'altro?



C. "Temere? Ammirare. Giampiero si è fatto rispettare in Francia e sta facendo bene in Italia".

D. "Maus ha aperto una strada: grande giocatore e grande tecnico ".



La partita che ricordate di più?



C. ”In campo quella con l’Inghilterra a Durban nel 1995, durante la Coppa del Mondo: gli inglesi se la videro davvero brutta e riuscì a segnare una meta (subito dedicata al fratello Marcello, escluso dal XV azzurro) nello stadio della città dov’ero cresciuto. Da allenatore la vittoria nel 2012 nel test match in caa dell’Australia, schianta a forza di mischie".

D. "Il successo contro il Galles al Flaminio nel 2003: più che per la mia meta una vittoria indimenticabile per il significato: l’Italia veniva da 14 ko consecutivi nel Torneo. Da tecnico amo ogni vittoria con il Perpignan nel Top 14".



Domani vince...



C. e D. "Ce la giochiamo ai punti, fino all'ultimo respiro".



CHI SONO

Dal “furto” di Haddersfield al trionfo di Roma



Massimo "Maus" Cuttitta è nato a Latina nel 1966, ma è cresciuto in Sud Africa, dove ha giocato anche nei Natal Sharks. E il fratello gemello di Marcello, miglior marcatore azzurro. Pilone sinistro, 69 caps dal '90 al 2000 segnando 7 mete, tante per il ruolo. Campione d'Italia con il Milan, poi agli Harlequins di Londra e infine al Calvisano. Dal 2007 è assistant coach degli avanti per la Scozia, confermato dai tre allenatori-capo che si succeduti, un record anche questo.

Giampiero "Ciccio" De Carli è nato a Roma nel 1970: pilone destro, 32 caps dal '96 al 2003 (5 mete). Nel 2000 ha vinto lo scudetto con la Roma, poi è passato a Stade Francais e Calvisano, dove ha iniziato ad allenare gli avanti. Da quest'anno tecnico del pack azzurro, nelle due stagioni precedenti ha rivestito lo stesso ruolo nel Perpignan, Top 14. Lui e Maus erano in campo sia nel 1998 a Huddersfield contro l’inghilterra, quando solo una clamorosa e in seguito ampiamente riconosciuta, svista arbitrale negò la storica vittoria all’Italia, sia nel 2000 a Roma al Flaminio nel trionfo contro la Scozia compione in carica (meta decisiva di De Carli) nel match d’esordio nel Sei Nazioni.

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