Si vince e si perde tutti insieme. Non ad Avellino dove la conferenza stampa del presidente Angelo Antonio D'Agostino ha lasciato la sgradevole sensazione di uno scaricabarile, bissando quello dello scorso 4 maggio dopo l'eliminazione ai playoff per mano del Foggia. È sempre colpa di qualcun altro se le cose non vanno come dovrebbero: degli allenatori, dei giocatori, dei direttori. Ma basta davvero mettere mano alla tasca per arrivare a sbottare nei confronti dei tifosi chiedendo: Di cosa dovrei giustificarmi?. Sia chiaro, D'Agostino ha l'innegabile merito di aver evitato all'Avellino l'ennesimo fallimento; di aver affrontato il periodo del Covid investendo a fronte dell'assenza di introiti, dai botteghini e di buona parte degli sponsor; di aver permesso ai supporter di tornare a parlare esclusivamente di calcio giocato a distanza di anni in cui ci si era abituati più a fare il tour delle aule dei tribunali della giustizia sportiva (e amministrativa), che a commentare le partite. Un merito che non lo dispensa dalla necessità di un'autocritica sotto il profilo della gestione sportiva che, ad oggi, non è ancora arrivata. Nel calcio non basta aprire i cordoni della borsa per ritenere fatta la propria parte. Le sbavature nell'organizzazione interna, la mancanza di un direttore generale, di un dialogo costante e di una comunicazione fluida e ragionata verso l'esterno, a cui vengono preferiti chiusure e silenzi, sono palesi. La conduzione si sta rivelando solida dal punto di vista economico ma fin troppo famigliare.
Naturale conseguenza i paradossi che ne derivano. Come nel caso delle dichiarazioni rese per valutare l'operato di De Vito. Il direttore sportivo ha dato un'impronta finalmente orientata a una progettualità a lungo termine, posto le basi per valorizzare la rosa inserendo giovani di prospettiva che potranno essere la chiave per future plusvalenze. Eppure è già finito nel tritacarne. Spero di non aver commesso lo stesso errore fatto con Di Somma ha sbottato D'Agostino. Non il massimo del riconoscimento della stima nei confronti di chi, in estate, si è fatto in quattro per rimediare alla situazione critica, non creata ma ereditata. Senza dimenticare che De Vito ha fatto pure da parafulmine a margine di un mercato in cui si è giustamente guardato ai bilanci, nonostante lo si neghi a oltranza. E sì perché, per scomodare Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: se davvero De Vito avesse avuto un budget illimitato perché si sarebbe ridotto all'ultimo istante per acquistare Trotta? Che difficoltà avrebbe avuto a chiudere le trattative per Zamparo, Gliozzi, Udoh, Montalto e Vuthaj?
Sono proprio le incongruenze emerse in sala stampa a lasciare perplessità.