Turris-Avellino, il doppio ex Baldini:
«Farò il tifo per i corallini»

Turris-Avellino, il doppio ex Baldini: «Farò il tifo per i corallini»
di Raffaella Ascione
Sabato 27 Novembre 2021, 14:36
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A Torre del Greco ha lasciato un pezzo di cuore. Quando ha indossato la maglia corallina – con tanto di fascia di capitano – aveva solo 23 anni, ma di quell’esperienza ricorda ogni attimo. Domani Fabrizio Baldini tornerà al Liguori per rinsaldare questo legame. Assisterà al derby fra Turris e Avellino da doppio ex, senza però nessun dubbio di schieramento: «Tiferò Turris, ovvio. Non me la sento nemmeno di dire che spero in un pareggio. Non me ne voglia l’Avellino ma a Torre c’è un pezzo del mio cuore. Mi aspetto una partita difficilissima per entrambe. Una verrà col dente avvelenato, l’altra viaggia sulle ali dell’entusiasmo ma il peso della responsabilità c’è. Sarà un derby tiratissimo. Spero che venga fuori qualche gol e che la Turris ne faccia uno in più».

Perché tra le tante cose, una in particolare gli è rimasta impressa: «Il boato del Liguori. È meraviglioso, ricordo che faceva tremare il campo. È una delle cose più belle che mi porto dentro. A Torre anche i bimbi di 9 anni urlano con una passione incredibile».

Domenica, nel pre-partita di Turris-Avellino, donerà alla società corallina la maglietta che indossò nella finale playoff contro il Benevento: «È l’unica che conservo nel mio armadio. Non ne ho altre, perché all’epoca mi piaceva giocare a calcio senza pensare al dopo. Contro il Benevento è stata la prima e unica volta in carriera in cui ne ho tenuta una per me, ma sapevo che l’avrei riportata a casa. Nel mio armadio non se la gode nessuno, nemmeno io. È giusto, invece, che se la godano la città, i tifosi e la società. Perché è preziosa e appartiene a loro».

Di quell’epoca però Fabrizio Baldini non conserva solo la maglietta. «Ho anche la fascia da capitano. Quella che per la prima volta ho indossato a Torre e con la quale non abbiamo mai perso. Era una specie di amuleto. La mettevo solo nelle occasioni importanti e non si perdeva mai. Tant’è che prima della finale dissi ai miei compagni di star tranquilli, perché di certo non avremmo perso. Quello che ho vissuto a Torre non l’ho mai più provato in nessun altro posto».  

Si ritrovò capitano ad appena 23 anni in una piazza calda: «Furono i compagni di squadra a consegnarmi la fascia». Tutti, anche i più esperti, gli dicevano: «Fallo tu, sei il più lucido. Polentone e lucido. In effetti non mi lasciavo troppo andare, ma questa è una mia caratteristica. Anche a Catania ero tranquillissimo».

A proposito di Catania, ancora si ricordano in città due sue frasi pronunciate a ridosso della doppia sfida playoff. «All’andata il Cibali era strapieno.

Erano convinti di sbranarci ma noi eravamo troppo forti». Tant’è che – prima della partita – si voltò verso Ciccio Esposito e gli disse: «Mister, stai tranquillo, possiamo giocare anche un giorno intero, non ci faranno mai gol». E così fu, anche stavolta. Una settimana dopo ci fu l’interrogazione parlamentare che spostò la sede della gara di ritorno da Torre del Greco ad Avellino. La città rischiò un crollo emotivo. Lui però, giovane e sfrontato, evidentemente sicuro del fatto suo: «Possiamo andare a giocarla anche a Catania, se vogliono. Il gol non ce lo fanno. Siamo già in finale».

Il 15 giugno si giocò la finale contro gli stregoni. Quando Dell’Oglio siglò l’1-0, Bombardini si rivolse proprio a lui: «È finita qua. Quando ve lo facciamo un gol?».

In effetti quella Turris era pressoché invulnerabile. Chiuse il campionato con soli 19 gol subiti. «E nel girone di ritorno, playoff compresi, ne subimmo solo sei o sette. Era veramente difficile farci gol. La coppia con Di Meo? Fantastica». Baldini si distingueva per le giocate eleganti, «Di Meo era invece più cattivo sull’avversario. Ci compensavamo».

La forza di quella Turris nasceva fuori dal campo. «Sassanelli era un fratello maggiore per me, eravamo sempre assieme e dividevamo anche casa. Con Di Meo siamo ancora amici. Prima delle partite interne non facevamo ritiro: cenavamo a volte a casa di Tarantino, altre di Dell’Oglio, che però abitava a Vico Equense, quindi era una bella trasferta. A noi non pesava. Eravamo amici, ragazzi perbene e professionisti seri».

A distanza di anni ne è certo. «Per me il calcio è cominciato e finito a torre».

Lasciata la Turris passò alla Lucchese, ma fu solo una parentesi. «Sassanelli mi chiamò da Avellino e lo raggiunsi. È stata un’esperienza gratificante in una squadra importante, ma i problemi fisici sono cominciati dopo quattro-cinque giornate. Nessuno a quei tempi li comprendeva. Successivamente i luminari mi dissero che avrei dovuto fermarmi del tutto, perché avevo logorato i tendini. Come Ronaldo, insomma. Mi si è strappato due volte il tendine rotuleo, a tutte e due le ginocchia. Mi sono operato, ma quando sono rientrato uno si è rotto di nuovo. È stato un calvario».

C’è un’analogia tra la sua Turris e questa Turris: «Quella di oggi si diverte come ci divertivamo noi. Merito di un gruppo unito, oltre che – ovviamente – di una bella dose di qualità. Senza qualità non vinci, ma in C nessuno può permettersi undici fenomeni, quindi la forza del gruppo è fondamentale».

Domani tornerà al Liguori. Concedendosi quell’emozione che all’epoca, da giovane capitano, gestiva con la maturità di un veterano.

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