Aurelio De Laurentiis accusa: «Governo assente, ci vogliono cinque minuti per fare una legge»

Rebecca Corsi eletta consigliere di Lega senza i voti del Napoli

Aurelio De Laurentiis con Danilo Iervolino
Aurelio De Laurentiis con Danilo Iervolino
di Pino Taormina
Martedì 6 Dicembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. 7 Dicembre, 09:11
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Il Napoli non è in vendita, tranquilli. Aurelio De Laurentiis non ci pensa neppure a dar via il suo club-gioiello. A nessun prezzo. Né ora e nemmeno nel futuro prossimo. Basta capire la determinazione con cui continua a lottare in Lega Calcio per smuovere le società dallo stallo degli ultimi tempi, invocando una riforma vera della serie A (riduzione a 18 o addirittura a 16 squadre), invocando la necessità di un consiglio direttivo composto dalle società big (le otto più importanti) che abbia poteri decisionali e operativi, insistendo per una gestione dei diritti tv che riesca, sul serio, a cancellare la pirateria e ad alzare gli introiti che negli ultimi anni si sono ridotti in maniera preoccupante. Non è in Turchia, assieme al suo Napoli, proprio per seguire da vicino le vicende del calcio italiano. Stando attento, però, a non cadere nella trappola del caso Juventus. Lui per primo sa che è una specie di bomba a orologeria, ma ieri mattina, partecipando alla presentazione del volume Codice di Giustizia Sportiva Figc dell'avvocato della Figc Giancarlo Viglione, al salone d'onore del Coni, non si è sottratto a qualche domanda. «Però della Juve non parlo. Ci penseranno i magistrati che stanno verificando, non è compito mio. Mi spiace che il calcio non sia portatore di quei valori che devono essere di esempio per le nuove e le giovani generazioni. Una nuova Calciopoli? Non sta a me stabilirlo. Ma il calcio è malato dall'alto. Perché quando uno non vuol capire che non ci sono sufficienti risorse per portare avanti una certa tipologia di campionato e non si vuole fare quella che deve essere una vera rivoluzione copernicana perché si insegue l'obiettivo di essere rieletti. Questo delle rielezioni è il problema del mondo dell'industria, dei sindacati e anche dello sport. La sorveglianza quindi è latente, perché modificare per crearsi delle antipatie è difficile trovarla».

Non è un fiume in piena, parla con toni spigliati e decisi ma mai eccessivi. Forse, per certi versi, molto politically correct. Forte di una leadership che non è soltanto legata al primo posto in campionato ma soprattutto alla gestione esemplare del bilancio e delle finanze del Napoli. «Ma i conti del calcio non tornano, lo Stato lo sa. Però lo ignora, perché altrimenti dovrebbe fare in modo che le leggi sulla modernizzazione del calcio si realizzassero in 5 minuti. Perché tanto ci vuole per sistemare le cose. Il governo è sempre stato assente, benché il nostro gettito fiscale sia importantissimo. Molta gente soffre, non riesce ad arrivare a fine mese. Questa è una storia che è peggiorata. Quale è la panacea per far stare calmi e buoni tutti? Il calcio». Sa che i riflettori sono tutti per lui, dopo il lungo silenzio iniziato questa estate. «Ma del Napoli non dico nulla, per carità, stanno lavorando bene in Turchia, in una struttura bellissima. Sono tutti allegri, lasciamoli in pace». Un accenno anche a Marek Hamsik: «È il simbolo dei miei 18 anni a Napoli, capitano e persona formidabile, una colonna della nostra storia». Ma non c'è spazio per altro. Però è di buon'umore, il patron. Quando interrompe il presidente della Lega Lorenzo Casini, di cui è stato sponsor principale per la sua elezione al vertice della Confindustria del pallone (gli altri spingevano proprio per l'attuale ministro dello sport Abodi): «Non gli date retta, è schiavo di Lotito». Casini scoppia a ridere. E pure De Laurentiis ride. Dietro, però, c'è un autentico malessere per la gestione delle faccende tra i club. Che non hanno nel mirino il presidente Casini, ma la gestione da parte del presidente della Lazio dei piccoli club della A, quelli che vanno su e già tra promozione e retrocessione. D'altronde, colpisce, e deve far riflettere, che l'elezione a consigliere di Lega di un dirigente di prim'ordine come quello di Rebecca Corsi, 33 anni, figlia del numero 1 dell'Empoli, sia avvenuta senza i voti dei principali club italiani, di quelli che assieme fanno il 70-80 per cento del fatturato della serie A (Napoli, Milan, Inter, Juventus, Fiorentina, Roma).

Con Lotito, ora pure senatore, il Consiglio di Lega non dà garanzie, è evidente. Ed è una delle riforme su cui il Napoli spinge con maggiore vigoria: 8 membri fissi in rappresentanza delle società italiane più importanti. Il 15 dicembre c'è un'altra riunione per le riforme: ma bisogna chiedersi se il punto di partenza non sia rivedere la serie C, dove ci sono ben 60 società. Non sono troppe? 

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