Con le mani, con i piedi, ciao Garella

Con le mani, con i piedi, ciao Garella
di Marco Ciriello
Sabato 13 Agosto 2022, 07:43 - Ultimo agg. 17:48
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Il mondo del calcio piange la scomparsa a soli 67 anni di Claudio Garella, ex portiere, tra le altre, di Verona e Napoli, con i quali si laureò campione d'Italia nel 1985 e nel 1987. Garella è deceduto per problematiche cardiache in seguito a un intervento chirurgico. Era nato il 16 maggio 1955 a Torino, dove aveva iniziato a giocare nelle giovanili del Torino.Al Napoli arrivò nell'85 per andarsene nell'88.


Non era solo un portiere, ma un modo di stare in porta. Pensava con i piedi, anche potendo metterci le mani. L'esplicitazione massima della provvisorietà per chi deve stare appollaiato sulla linea che separa il pallone dal gol. Un uccellone goffo, spalle grandi e piegate, piedi da soldato nel fango, i guantoni puliti e una divisa striminzita a fasciargli il corpaccione: Obelix sempre pronto all'avventura del pallone, clown&guerriero. Uno e novanta per novanta chili «Claudio Garella / il più grosso portiere / d'Europa» come cantano i Jocelyn Pulsar, parava di piede, polpaccio, coscia, gomito, testa, in rovesciata, e a volte anche con le mani. Sembrava uscito da un dipinto di Lorenzo Lotto: i capelli lunghi a scalare gli avvolgevano la faccia un po' da Depardieu e un po' da orso Yoghi col naso da Bergerac. Fatto di pongo, tutta una dolcezza di linee in contrasto con la rigida geometria delle porte di calcio. Saltando da un angolo all'altro per respingere il pallone pareva che avesse le liane di Tarzan. Sgraziato, faceva disperare Brera, imprecare Caminiti e Bubba, e ridere Beppe Viola che battezzò le sue parate mancate come garellate. Non ebbe vita facile, a dispetto dell'esordio (campionato '72-'73) subito a sostituire uno dei suoi miti: Luciano Castellini del Torino. Prese pure gol, il Torino perse col Lanerossi Vicenza ma lui sentì aria di casa: «Sono un vero cuore Toro, cresciuto in una città dove i padroni tifano Juve».



Poi se ne andò alla Juniorcasale, salì in C, segnò anche un rigore, l'unica difficoltà per uno che sapeva usare i piedi «fu di fare velocemente gli 80 metri per raggiungere il dischetto». Pensava lento, Garella. E non si scomponeva. Giocò col Novara in serie B e poi in A con la Lazio, un anno a studiare e uno a sostituire Felice Pulici, non ci riuscì, e se ne tornò in B, quando giocarci significava non essere visto, alla Sampdoria. Tre anni da fantasma per la tivù, e idolo per le curve e gli esperti come Osvaldo Bagnoli che lo chiamò a Verona: dovevano difendere la salvezza, vinsero lo scudetto, e quello che doveva essere respinto dalle sue mani fu respinto dai piedi, tra sorrisi e un diverso modo di stare in porta.

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Dalle papere si passò al fumetto: divenne Garellik, l'agilità di Diabolik nel rubare le occasioni agli attaccanti, nel sottrarre loro i gol.

Un portiere di hockey che si opponeva ai tiri con le parti del corpo più vicine alle traiettorie, all'occorrenza, un serpentone scomposto che risolveva partite. Era stropicciato Garella, sembrava un insonne che vagava per l'area, ma poi diventava un Golem che perseguitava i sogni di gol degli avversari. Diego Maradona lo sentì affine nell'estraneità, e lo volle al Napoli. Garella rinunciò alla Coppa Campioni col Verona per giocare con l'argentino amava moltissimo anche Ubaldo Fillol portiere della Selecciòn che vinse il mondiale 1978 e vinse il suo secondo scudetto col Napoli, da protagonista. I suoi due campionati vinti valgono tantissimo, perché fuori dai salotti del calcio. Chiuse la carriera in B: Udinese prima, e Avellino dopo, e poi finì ad allenare il Barracuda, società nata dai sogni delle Nazionali e i bicchieri di Vecchia Romagna di un bar storico di Mirafiori.

Garella contraddice/va Dino Zoff, convinto che al portiere non servisse la fantasia, per questo gli piaceva Bruce Grobbelaar, uno fuori di testa sotto l'arco della porta, insieme erano i fratelli maggiori di René Higuita che il calcio avrebbe scoperto a Italia90, col suo carico circense. Garella non avrebbe sfigurato a capo di una catena di montaggio, perché era un uomo risolto e risoluto, e niente come il portiere è assimilabile all'operaio di fabbrica pragmatismo alla Deng Xiaoping «non importa se il gatto è bianco o nero, l'importante è che acchiappi i topi» per questo fu sindacalista recalcitrante sia con Osvaldo Bagnoli che con Ottavio Bianchi, pagandone le spese. Il calcio l'ha tenuto ai margini, troppo clown e spiritoso per la serietà delle società tutta finzione , troppo guerriero per diventare uno yesman da panchina. È rimasto l'orso di Gianni Mura, con le mani in tasca.

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