Ferlaino, i suoi 90 anni: «Per il Napoli sempre in prima linea»

Ferlaino, i suoi 90 anni: «Per il Napoli sempre in prima linea»
di Francesco De Luca
Domenica 16 Maggio 2021, 08:41 - Ultimo agg. 15:29
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Novanta. Come i minuti di una partita. Come gli anni che Corrado Ferlaino compie tra due giorni. «Festeggerò con la famiglia e idealmente con tutti i napoletani: li ho sentiti sempre molto vicini».

Ma sembra che Ferlaino sia stato riscoperto negli ultimi anni: il presidente tifoso messo dalla tifoseria in contrapposizione al presidente manager De Laurentiis.
«Parlo di me e del mio rapporto con il Napoli e la gente. Ho vissuto momenti difficili: più volte, in 33 anni di proprietà, sono arrivati a mettermi le bombe sotto casa. Ma io ricordo i periodi felici. Ero ricco e spensierato prima di entrare nel Napoli, gennaio del 69. Quando ho chiuso, non avevo più niente. E questo la gente lo ha capito, probabilmente apprezzando anche che non avevo mai messo familiari in consiglio, nessun compenso».


A novant'anni guarda avanti o indietro?
«Avanti, certo. Il mio primo pensiero è sempre cosa farò domani e lo sarà anche nell'ultimo giorno della mia vita».

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E allora cosa ha in mente?
«Ho un progetto, ma lo tengo segreto.

Passano gli anni e lavoro sempre di più».


La pensione non fa per Ferlaino.
«Quando ho ceduto il Napoli, pagando così i debiti che si erano accumulati negli anni e cedendo al nuovo presidente Corbelli anche metà di Palazzo d'Avalos, ho voluto che delle attività imprenditoriali si occupassero i miei figli. Ma loro chiedono continuamente consigli e questo è un lavoro impegnativo».


Più una gioia o una sofferenza essere stato il proprietario del Napoli?
«Dipendeva dalle circostanze. Sono stati 33 anni di battaglie e io non mi sono mai tirato indietro. D'altra parte, i primi problemi li trovai subito».


Perché diventò presidente?
«A mia insaputa l'amico Verga mi inserì in una cordata di venti soci. Venti, capite? E venti che non volevano tirare fuori una lira ma pretendevano di comandare. Ero giovane, ricco, con aereo privato e yacht. Ma chi me lo faceva fare? Alla fine, però, feci un'offerta per tutto il Napoli e cominciò la storia. Capii molto presto cos'era il calcio».


Quando?
«In una partita a San Siro contro l'Inter nel 71: è passato mezzo secolo ma sembra ancora attuale. Eravamo in vantaggio grazie al gol di Altafini e nell'intervallo Mazzola alzò la voce con l'arbitro Gonella. Vinse l'Inter. E per me fu una lezione perché compresi che per vincere servivano campioni e rapporti forti. E mi misi al lavoro. Creai le relazioni con Federcalcio e Lega. Acquistai Savoldi, feci un tentativo per Rossi. E poi Maradona, con il fondamentale aiuto di Juliano e Celentano».


Senza Maradona il Napoli non avrebbe vinto lo scudetto?
«Mi chiedo ancora come mai perdemmo quello dell'88. Per amor di Dio, i calciatori erano onestissimi, però Napoli era la centrale del totonero. La squadra crollò e vinse il Milan. Da allora misi dei premi altissimi e già molto elevati erano gli stipendi dei calciatori. Affrontavo battaglie impari contro le multinazionali ma con grandissimo orgoglio napoletano».


Avrebbe potuto diventare deputato dopo aver vinto il primo scudetto: perché rifiutò?
«La Dc mi aveva messo in lista, corsi da De Mita per raccomandarmi affinché mi escludesse, esattamente il contrario di quello che avrebbero fatto tutti. Dissi al segretario della Dc che mia moglie Patrizia Boldoni era comunista e che sarebbe scoppiata una guerra in famiglia. Una scusa, ovviamente. Io ho fatto solo due lavori: imprenditore e presidente del Napoli. E ne sono stato felice. Avrei voluto una vita spensierata, in giro per il mondo. Invece, è stata una bella quotidiana sfida».


Lei, che non ha voluto fare il politico, al nuovo sindaco di Napoli cosa chiederebbe?
«Ci vogliono progetti intelligenti e idee geniali per fare esplodere nuovamente la città, anzitutto sul piano turistico. Vorrei un sindaco con la cazzimma e intanto mi aspetto una legge speciale per eliminare l'idebitamento di una città che è stata capitale: nessuno lo dimentichi».


Ha lasciato il Napoli nel 2002: perché non è più andato allo stadio?
«Vado a vedere la Nazionale, ho la tessera d'onore. Il Napoli no, perché la mia presenza rischiava di essere indigesta: ricordo bene quando andavano male le cose e i tifosi acclamavano i miei predecessori».


Ha mai pensato di creare un'altra squadra a Napoli?
«Mai, io fatto il presidente del Napoli e non avrei mai potuto esserlo di un altro club. Sono nato in via Giorgio Arcoleo, vedevo il mare e il Vesuvio. Ho provato a vivere a Roma e Milano, ma non faceva per me».


Il suo primo compleanno senza Maradona.
«Gli ho sempre dedicato un pensiero, considerandolo uno di famiglia. Un napoletano innamorato di Napoli. La sua scomparsa è stata dolorosa, ancor di più adesso che emerge il terribile sospetto che sia stato truffato».


Oggi il Napoli gioca contro la Fiorentina: è la partita che a tutti ricorda quella del 10 maggio 87, la festa del primo scudetto.
«Neanche quella domenica pensavo che potessimo farcela... Fu diverso per il secondo, organizzammo anche la festa su una nave per i giocatori affinché potessero ammirare la meravigliosa notte napoletana».


Fu lo scudetto tolto al Milan, quello del 90.
«Ancora si arrabbiano l'allenatore e i giocatori del Milan e io ancora faccio salti di gioia. Dissi che Alemao, colpito da una moneta a Bergamo, non mi aveva riconosciuto in ospedale. L'unica bugia della mia vita. Ma Parigi valeva bene una messa, altroché».


Lei avrebbe confermato Gattuso?
«Se proprio devo rispondere, dico di sì. E aggiungo che in questo campionato sono state perse partite assurde: non vi possono essere crisi nei rapporti con un allenatore. Nell'88 difesi Bianchi sfiduciato dalla squadra: quattro calciatori andarono via, lui rimase in panchina».


Nelle ultime due partite il Napoli si gioca il posto in Champions: e lo scudetto?
«Auguro alla mia squadra del cuore di vincerlo tra un anno. Per riuscirvi bisogna leggere la classifica dei mercatori: ai primi posti ci sono Cristiano Ronaldo e Lukaku, i campionati si vincono con chi segna di più o con un vero top player».


E l'allenatore?
«Ne ho avuti di importanti, però quello con cui abbiamo vinto il secondo scudetto, Bigon, non era di primissima fascia. Ma c'erano Maradona, Careca...».

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