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Il Mattino

Mertens, l'amore per Napoli e ADL:
«Resto qui per vincere lo scudetto»

di Pino Taormina
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 5 Luglio 2020, 09:00
7 Minuti di Lettura

Una scelta d'amore. Ma non solo. Qui il cuore c'entra, ma c'entra anche il progetto Napoli, la voglia di tornare in alto, le ambizioni di una società che ha in mente un piano per continuare a vincere. La Coppa Italia non basta a Dries Mertens ma per tutti Ciro. Che, per la prima volta dalla firma del rinnovo, racconta la sua scelta di restare qui per altri due anni. Almeno. Ma non solo: il belga parla dei suoi sogni, degli obiettivi e degli errori fatti. E racconta gli ultimi dodici mesi, prima con Ancelotti e ora con Gattuso.
 


Mertens, cosa ha di speciale Napoli per lei?
«Un amore a prima vista. Arrivo qui e porto con me la mia famiglia, andiamo al ristorante e iniziamo a mangiare antipasti, non so quanti primi, secondi, contorni... In pratica entriamo a mezzogiorno e usciamo alle sei del pomeriggio. Ci guardiamo negli occhi, in Belgio il pranzo dura mezz'ora. E scoppiamo a ridere. Ancora ne parliamo. È questo il mio posto, dico ai miei genitori».

Cosa cambierebbe di questa città?
«Ma si dice che ci si innamora dei difetti e pure se ce ne sono io non toccherei nulla. Lascerei tutto com'è. Io sono innamorato di tutto quello che c'è qui, dall'atmosfera che si respira al centro storico e ai Quartieri spagnoli dove pure mi sarebbe piaciuto andare a vivere, ai tramonti di Posillipo. Io parlerei per ore di Napoli, non mi stanca mai farlo».

Quando ha deciso di restare?
«Durante la quarantena. Più pensavo a dove poter andare e più mi convincevo che in nessun altro posto sarei stato meglio di qui. E allora ho accettato di firmare».

Con De Laurentiis che rapporto ha creato?
«Da sette anni ci conosciamo, con lui è come quando vai sulle montagne russe, è un continuo salire e scendere... Ma se non mi fossi legato anche a lui, chiaro che non sarei potuto rimanere. Ma quello che conta è questo feeling che c'è adesso tra lui e Gattuso, questo loro lavorare in sinergia».

Qual è il suo sogno?
«Io sono rimasto perché sono convinto che la vittoria in Coppa Italia è la base di partenza di un progetto che potrà darci grosse soddisfazioni. Io credo davvero che le distanze dalla Juventus siano minime, molto meno di quello che dice l'attuale classifica. Una classifica che è il risultato degli errori di tante persone. Noi abbiamo superato un momento complicato, dove tutti abbiamo avuto delle colpe, ma ne siamo usciti più forti, più compatti. Consapevoli degli errori fatti».

E cosa manca a questa squadra per avvicinarsi alla Juve?
«Penso poco poco. Basta pensare dove siamo arrivati in questi sei mesi con Gattuso, quello che siamo riusciti a diventare in così poco tempo grazie al lavoro suo e del suo staff che è straordinario. Hanno cambiato ogni cosa e questo mi dà una enorme energia. E mi fa credere che possiamo fare grandi risultati tutti insieme».

Cosa non ha funzionato con Ancelotti?
«Non lo so. Più cose. Ma non era solo Ancelotti. Ci siamo messi in situazioni in cui ci siamo fatti male da soli. Cose che non dobbiamo più fare. Ma conquistare la coppa Italia ci ha dato la carica e la forza per ripartire e per metterci alle spalle tutto».

Cosa è successo la notte della gara con il Salisburgo?
«È passato, dobbiamo andare avanti. È stato un periodo in cui tante persone hanno sbagliato. Ma dobbiamo pensare a quello che ci aspetta adesso perché la strada intrapresa è quella vincente. Certi errori ti rendono più forte, è vero, ma quello che ti fa più forte è vincere. Per questo dico che la coppa Italia è un momento chiave per tutti».

Cosa avete imparato da quegli sbagli?
«Che quando succede qualcosa bisogna stare insieme, parlare tra di noi, essere chiari su tutto e con tutti il prima possibile. Non abbiamo dimenticato quello che è stato fatto e da lì è rinato il Napoli».

Che meriti ha avuto Gattuso in questa rinascita?
«Abbiamo passato un brutto momento, per scelte strane e lui è arrivato e ha messo tutto in ordine. Con la sua idea di calcio, con la sua idea di palleggio, con il suo lavoro».

Che allenatore è?
«In qualche momento abbiamo creduto poco in noi e non deve più succedere. Lui ha voglia di spiegare le cose ed è fortunato perché noi siamo un gruppo che ha voglia proprio di questo: di ascoltare. Ci chiede ogni giorno il 120 per cento, non dà tregua. Ed è bello che ce lo chieda ed è altrettanto bello che noi lo accontentiamo. Con entusiasmo. Ed è questa la magia che c'è tra la squadra e il suo allenatore».

Callejon alla fine andrà via?
«Ci ho provato a convincerlo a restare. E ci sto provando ancora, non mi arrendo. Perdere un amico come lui mi dispiacerebbe ma anche rinunciare a un compagno di squadra e un professionista straordinario come è José non sarebbe semplice. Non lo so cosa succederà. C'è ancora tempo».

Sia pure per curiosità, ha dato uno sguardo alle prestazioni di Osimhen?
«Me ne hanno parlato benissimo i miei amici dello Charleroi dove ha giocato prima di andare in Francia, non so se verrà ma in ogni caso è proprio quel tipo di calciatore che serve a questo Napoli».

Le piace il calcio in estate?
«Mi piace il calcio che è ripartito, era la cosa giusta da fare. Giocare con il caldo oppure ogni tre giorni non mi pesa. Peraltro siamo una squadra che da sempre è abituata a scendere in campo ogni 72 ore, tra Champions ed Europa League. Magari il problema è di quelle realtà che non fanno le coppe e che quindi sentiranno il peso di dover giocare così di frequente».

Pensavate sul serio di poter rimontare l'Atalanta?
«Un po' sì. Finché c'era la speranza di farlo, avevamo il dovere di provarci».

Gattuso ha sostituito contemporaneamente lei e Insigne. Il tecnico era arrabbiato?
«È una cosa che non deve chiedere a me. Io dico che stiamo giocando tanto e magari stava pensando alla gara con la Roma. Ma io sono sempre positivo».

Ha avuto paura durante i giorni dell'emergenza Covid 19?
«Non sono un tipo che pensa alla morte, sono molto fatalista quindi non vivevo come un incubo la pandemia pensando a me stesso. Ma ammetto che le immagini che arrivavano da Bergamo e dalla Lombardia mi hanno molto scosso e turbato. Lì ho visto una grande sofferenza mentre qui per fortuna la pandemia è stata molto limitata e quelle scene così drammatiche non si sono viste».

Questa Champions con la formula della final eight stuzzica in modo particolare, non trova?
«Certo, con la partita secca sarà tutto possibile. Ma prima abbiamo la gara con il Barcellona. E sappiamo bene che difficoltà ci attendono. Ma siamo fiduciosi, sappiamo il nostro valore, così come sappiamo bene chi avremo di fronte. Noi il turno lo vogliamo passare, nella gara di andata abbiamo dimostrato di poter giocare alla pari con loro. Quindi tutto è possibile».

Preferirebbe giocare con o senza tifosi al Camp Nou?
«In uno stadio come quello un calciatore vuole sempre vedere gli spalti pieni. I tifosi sono importanti e a me giocare in uno stadio vuoto non piace. Però è chiaro che dobbiamo già essere contenti così, ripartire era la cosa più importante anche se il prezzo da pagare è quello di scendere in campo a porte chiuse. Ed è stata la scelta giusta quella di riprendere i campionati e le coppe».

Ma resterà qui a fine carriera come hanno fatto Vinicio e Pesaola?
«Io ho due anni, forse anche un terzo. Ma il mio futuro è adesso, voglio dare il massimo, voglio ancora alzare il mio livello. E come me, la squadra. Quest'anno siamo in una posizione in classifica che non è la nostra, la colpa è nostra se siamo qui. Ma io voglio continuare a vincere».

Il record di gol è una cosa che l'ha fatta diventare leggenda.
«Quando sono arrivato, non ci avrei mai pensato di poter arrivare a 122 reti con questa maglia. Poi piano piano ti rendi conto che ti stai avvicinando a un record simile dici a te stesso certo, sarebbe bello. Io sono fiero di questo traguardo. Ora che ci sono arrivato e la cosa mi riempie di gioia, penso solo ai miei gol che devono servire per vincere qualcosa di importante. Se sono rimasto è perché il progetto è un progetto vincente. Ed è quello che volevo ci fosse».

In questo mese di campionato, cosa c'è da aspettarsi?
«Certo, ci sono nove partite e servono anche per arrivare al meglio alla gara con il Barcellona. Ma non solo. In soli cinque mesi di lavoro siamo cambiati, continuando a lavorare come abbiamo fatto fino ad adesso, possiamo credere ancora. Io per questo sono rimasto, credo in questo progetto e sono certo che ho fatto la cosa giusta».

Le capita, qualche volta, di avere un rimpianto per lo scudetto perso con 91 punti
«Non sarebbe giusto, è il passato e ora bisogna pensare a quello che ci attende».

Sarri pensa che sia stato perso nel chiuso dell'albergo di Firenze.
«No, non l'abbiamo perso lì. Penso che dopo la vittoria con la Juventus abbiamo creduto troppo che fosse finita lì. E invece non era finita ancora».

La Roma mica c'è il rischio, come dice Gattuso, di una scampagnata?
«Non sarà così. Giocheremo concentrati, determinati, provando a riprendere il cammino di vittorie che abbiamo interrotto mercoledì. La mentalità si costruisce vincendo. E noi non vogliamo fermarci».

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