Fiorentina-Napoli, se Lorenzo
cancella la sindrome di Firenze

Fiorentina-Napoli, se Lorenzo cancella la sindrome di Firenze
di Marco Ciriello
Lunedì 17 Maggio 2021, 08:00 - Ultimo agg. 11:03
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I piedi di Lorenzo Insigne scongiurano quella che poteva diventare la Sindrome di Firenze. Tira il rigore col destro, ma segna, su respinta di Pietro Terracciano, di sinistro. Sono i piedi sui quali il Napoli sta correndo in Champions League, e che lo stanno portando nel post-sarrismo. Insigne con la sua migliore stagione napoletana, quella della maturità, si consegna a Roberto Mancini e alla Nazionale come il talento della sua generazione sopravvissuto alla mediocrità di questi anni (la carenza è data dal tasso di nostalgia per Roberto Baggio con incremento di libri e serie tv). Insigne esce con un gol, un assist per Zielinski che tira e segna ma con una deviazione propizia di Venuti, una traversa su punizione e un palo a Terracciano battuto, insomma è suo il palleggio virile del Napoli, l'attacco ai tre punti fondamentali per scavalcare di nuovo la Juventus e per arrivare in salute al gran finale del campionato. Ora che si è fatto davvero moto perpetuo carioca, al punto di sembrare un brasiliano degli anni Ottanta tutto classe e invenzione e sperpero Insigne è senza pubblico, o forse proprio grazie all'assenza di pubblico in differita, può giocare sereno senza la responsabilità del napoletano che deve farcela, che deve essere per forza leader e protagonista. Sfuggendo ai bandi borbonici, ai comandamenti della terra, ha giocato sereno, libero dal peso oppressivo delle ovazioni e dei fischi, finalmente arbitro del proprio destino di napoletano al centro del Napoli. Il suo girone di ritorno è stato un crescendo wagneriano, una discesa all'Alberto Tomba, dribblando e segnando, trascinando e divertendosi. La cupezza l'ha lasciato, perché sono tornati i gol, e anche la soddisfazione di farli segnare agli altri.

 

Superare la partita con la Fiorentina dribblando anche uno dei fantasmi recenti, aggiuntosi al carico non leggero di complotti e congetture, sconfitte e mancati traguardi, è un altro dei grandi meriti di Lorenzo Insigne. È questo il compito del talento, dribblare tutto e segnare quando serve, divertendosi e divertendo.

I suoi anticorpi di talento hanno vinto gli attacchi di narcisismo e quelli di sconforto, forse sradicando per un po' anche quelle radici di sud piagnone, che tanto piace sia alla narrazione delle gazzette che al tifo. Ha sbagliato il rigore come il vecchio Insigne, ma ha segnato sulla ribattuta come il nuovo Insigne, in un incrocio da Robert Johnson, con le due vite che si sono incrociate e salutate dagli undici metri. Passato e futuro, vecchio e nuovo Napoli, uniti dal suo talento che restava tale anche con l'errore dal dischetto, ma che ora è più forte perché spinto dal risultato, dalla vittoria, dal traguardo inaspettato fino a pochi mesi fa. Doveva sbagliare come chi mostra la foto del prima e del dopo, e segnare per voltare pagina, niente di più perfetto, esitare e poi trionfare, rivedersi per poi lasciarsi, inciampare ancora prima di saltare. L'ultima debolezza prima della definizione, e il fatto che non ci arrivi perfetto ma barcollante e sghembo come sulla ribattuta in porta è la vera finezza, perché Insigne è un esitante, uno emotivamente provato, che aveva bisogno di un paio di stagioni lontano da Napoli, dove lontano non era Pescara ma come minimo Londra. Invece ha girato su se stesso, si è sbagliato addosso, e ora è diventato quello che poteva essere qualche anno prima. L'eccessiva classe crea malattie autoimmuni che portano alla frantumazione di sé nella ricerca del gol col tiro a giro. Adesso è guarito, ha vinto con l'incanto segreto del palleggio, da un piede all'altro, da un errore al rimedio senza far passare due stagioni. 

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