Hamsik campione di Turchia:
«Ora sono un turco napoletano»

Hamsik campione di Turchia: «Ora sono un turco napoletano»
di Pino Taormina
Martedì 24 Maggio 2022, 07:00 - Ultimo agg. 25 Maggio, 07:21
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È a casa, Marekiaro. Nella sua Slovacchia. Ad allenare i figli e chissà quanti altri ragazzi: si sente persino il rumore del pallone sul terreno di gioco della scuola calcio Jupie di Banská Bystrica. «Quando smetterò, questo farò: il tecnico dei bambini di 13, 14, 15 anni. Perché voglio restituire quello che ho avuto». Ed è un giorno triste, quello dell'addio alla sua nazionale. «Dopo 15 anni è giusto lasciare». Marek Hamsik è il re della Turchia. Tra pochi giorni sarà a Napoli, nel suo tour del cuore e dell'anima, partendo da Pinetamare e con un grande party da Sano Sano a due passi dalla Galleria Umberto I. 

Hamsik, ma è vero che a Trebisonda non la chiamano Marekiaro?
«Colpa di un compagno di squadra che mi ha accolto in una intervista chiamandomi il grande. E da quel momento è rimasto questo soprannome. Sono Marek il Grande, che poi suona anche bene e mi piace pure».

La corona di imperatore della Turchia. Come è vincere un campionato a 34 anni?
«Un piacere enorme vincere a qualsiasi età e qualsiasi cosa. Io ricordo le feste per la Coppa Italia ma anche quella a Doha dopo la Supercoppa. Il titolo qui mi ha dato un'emozione straordinaria, così come le feste che hanno organizzato i tifosi. Ce ne sono state ben sei, una più bella dell'altra: ma quella a bordo delle barche, sul Mar Nero, è qualcosa che mai nella vita potrò scordare»

Quale è stato il segreto per il suo trionfo?
«Io sono andato al Trabzonspor pensando solo a giocare bene e aiutare la squadra. Ho trovato tutto quello che serve per vincere: organizzazione, un tecnico top che mi ha pure cambiato posizione in campo, compagni unici. Piano piano ci siamo resi conto che potevamo fare l'impresa, perché lì il titolo mancava dal 1984. E devo dire che è stato bravo Micheli, il capo dello scouting del Napoli che mi aveva portato al Brescia, a suggerirmi di tentare questa avventura. Gli ho dato ascolto e ho fatto bene».

Cosa si porte dentro de suoi 12 anni a Napoli?
«La felicità.

Io a Napoli ero felice, con gli amici, la mia famiglia, sul campo di calcio, con i tifosi. Sennò non avrei rinnovato per cinque volte, sapendo pure che avevo tante altre offerte per poter cambiare. Abbiamo riportato tutti insieme il Napoli tra le grandi. E sono rimasto tutto questo tempo perché non c'è stato un solo giorno in cui non ci fosse qualcosa che mi regalasse un sorriso».

A cosa ripensa di più dell'esperienza calcistica al Napoli?
«Il campionato dei 91 punti. È ancora una amarezza che mi porto dentro, che mi fa male quando ci ripenso. E mi capita di ripensarci. Quel testa a testa senza fine con la Juventus, quello scudetto perso per colpa della maledetta partita di Firenze dove sono finiti i nostri sogni. Però mi rimane una soddisfazione».

Quale?
«Aver giocato nella squadra più spettacolare vista in Italia nell'ultimo decennio, aver dettato legge su ogni campo della serie A e tante volte anche in Europa, aver fatto vedere quello che eravamo capaci di fare».

E quest'anno il Napoli lo scudetto dove lo ha perso?
«È chiaro che in un campionato non si possono sbagliare più di due o tre partite, sennò c'è poco da fare: perdi. Però gli azzurri lo scudetto lo hanno gettato via con Roma ed Empoli: non puoi farti ribaltare in quella maniera quando lotti per il primo posto, non puoi prendere un gol al 90' quando insegui il sogno. Ma questo gruppo può riprovarci, anche se non so chi resta e chi va via».

Lo ha vinto il Milan alla fine.
«Complimenti. Ma la storia sarebbe cambiata se il Napoli non avesse avuto tutte le disattenzioni che ha avuto. Ma sono le piccole cose che ti fanno perdere e vincere un campionato».

Ma lei a 34 anni si sente vecchio?
«Sto bene, non mi sento vecchio. Sono stato fortunato perché gli infortuni sono stati pochi».

Vuol fare il tecnico. A chi si ispira?
«La mia filosofia è quella che Sarri ha fatto vedere nei tre anni a Napoli, è quello il calcio dove ho goduto di più. Ora se vedo il City di Guardiola è quella l'idea che mi affascina». 

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