Insigne cuore di capitano,
Lorenzo nella storia del Napoli

Insigne cuore di capitano, Lorenzo nella storia del Napoli
di Pino Taormina
Domenica 17 Febbraio 2019, 10:00 - Ultimo agg. 18:59
3 Minuti di Lettura
Una vita da napoletano. Napoletano e capitano. Simboli di storia e agguati di memoria. Indicano la strada, quelli che portano la fascia. E ora torna al braccio di uno che il Napoli non lo ha solo nel cuore e sulla pelle. Perché a casa Insigne, il Napoli è la squadra del cuore fin dalla fanciullezza, fin dai primi passi. Oggi con il Torino è la prima al San Paolo da capitano vero per Lorenzo Insigne, successore di Paolo Cannavaro, Gennaro Iezzo, Gennaro Scarlato, Giuseppe Taglialatela, Ciro Ferrara, Beppe Bruscolotti (è di Sassano, provincia di Salerno, ma napoletano doc d'adozione), Antonio Juliano ed Egidio Di Costanzo, gli altri che hanno avuto l'onore e l'onere di essere i leader della propria squadra del cuore. Paradossalmente la prima volta dopo l'investitura ufficiale è contro Walter Mazzarri, il suo primo allenatore in serie A, il tecnico che lo ha fatto esordire (24 gennaio del 2009) e con cui ha segnato la sua prima rete in massima divisione (al Parma, il 16 settembre del 2012).
 
Inizia una nuova era, inizia il dopo Hamsik. Le bandiere non sventolano gratis. Tutti sognano il lieto fine alla Giampiero Boniperti: giocatore, capitano, presidente, presidente onorario. Ma non sempre è così. Stavolta non è andata così. L'erede di Hamsik è però l'altro veterano, il ragazzo cresciuto nel settore giovanile, scoperto dal braccio destro di Mazzarri (Santoro), tirato su a colpi di allenamenti e che è qui da sette stagioni, anche lui indifferente alla tante tentazioni arrivate fin qui. Ora che è ammainata la bandiera Hamsik, ecco la bandiera di Insigne. Difficile quella fascia, un rischio: perché file e file di medaglie sul petto non evitano il rischio delle porte che sbattono, degli stracci che volano. Juliano, per esempio, capitano e icona del Napoli per 12 stagioni, dal 1966 al 1978, non voleva proprio smettere, il presidente Ferlaino gli offriva una scrivania e lui niente. «Mica ammuffisco tra le scartoffie!», così ottenne la lista gratuita e un ultimo ingaggio al Bologna, dopo che il Napoli gli aveva offerto un contratto a gettone. Non facile, il campionato estremo: a febbraio, Totonno disse che non ne poteva più, poi tenne duro e alla fine segnò il gol-salvezza contro il Toro. Nonostante poi qualche ritorno in società, non ha mai perdonato all'ingegnere di non avergli consentito di chiudere la carriera in azzurro. Insigne sa bene cosa significhi essere il capitano: quante volte ha sentito il pubblico del San Paolo rumoreggiare contro Hamsik (ma anche contro lo stesso Lorenzo)? Quella fascia serve per diventare grandi, non c'è che dire. Ciro Ferrara, per le tre stagioni del dopo Maradona, l'ha indossata. Capitano vero, ma poi è andato alla Juventus. E la gente di qui se l'è legato al dito. Bruscolotti se la tolse dal braccio nell'estate del 1986 per consegnarla a Maradona. Era stato lui a raccogliere l'eredità di Totonno Juliano. «Ma la consegnai a Maradona, lo feci con dolore, con sofferenza. Per uno come me la fascia era importante. Però in cambio gli strappai la promessa di farmi vincere lo scudetto. E ha mantenuto la promessa».

Insigne sa che le bandiere sono fatte di stoffa speciale: non a caso il suo idolo Alessandro Del Piero divenne improvvisamente per la Juventus stoffa pesante, come teli che ingombrano, aste che si spezzano. Ricorda Paolo Cannavaro. «Un orgoglio essere il capitano della mia squadra del cuore, credo che sia stata una delle cose che più mi ha riempito d'orgoglio. Sei il capitano, un simbolo, il riferimento per tutti». Ora tocca a Lorenzo Insigne, 293 partite con il Napoli, una vita sempre in prima fila. Capitano anche con l'Italia, sia pure per una sola volta (con l'Olanda, il 3 giugno).
© RIPRODUZIONE RISERVATA