Per arrivare da Frattamaggiore a Sant'Arpino Lorenzo Insigne potrebbe inserire il pilota automatico. Perché dai 6 ai 14 anni quella è stata la rotta quotidiana: da casa alla scuola calcio Olimpia, dove per la prima volta ha capito cosa volesse dire il calcio vero, ma soprattutto dove per la prima volta ha indossato la maglia numero 10. Un giro enorme quello che lo ha portato da quell'avventura a questa - azzurra - all'Europeo. Più che un filo, sono i rimbalzi di un pallone a tenere tutto unito. Basta seguire quelli per capire da dove è partito Lorenzo e dove è arrivato. «Oggi quasi ci sembra naturale, ma le prime volte in serie A o con la Nazionale ci veniva la pelle d'ora», racconta Orazio Vitale, presidente della scuola calcio Olimpia, quella che Insigne ha frequentato dai 6 ai 14 anni. «Già da piccolo si vedevano le caratteristiche di quel ragazzo», e il legame tra lui e Lorenzo è sempre stato speciale. «Anche io sono di Fratta e oltre ad essere il presidente della scuola calcio ero anche il suo autista: perché lo andavo a prendere a casa e lo portavo con me agli allenamenti». E in quei viaggi si parlava di calcio, di emozioni e di futuro. «In macchina con noi c'era anche mio figlio. Quel gruppo dei 90-91 era molto affiatato, ma tutti riconoscevano in Lorenzo il migliore di tutti. I ragazzi si facevano fare l'autografo da Lorenzo sui cartellini, anche se erano piccolissimi, avevano capito che fosse un predestinato. Quando è passato al Napoli dicevo in giro: Ho dato via un ragazzo che andrà in Nazionale. I risultati mi hanno dato ragione».
I compagni di squadra lo adoravano, e non solo perché fosse un ragazzo umile e disponibile. Ma anche perché era quello che faceva vincere le partite. «All'ultimo minuto di una sfida sentitissima a Grumo Nevano, ci fu una punizione in nostro favore». Racconta Luca Canciello, compagno di squadra di Lorenzo nella scuola calcio Olimpia. «Era poco dopo la metà campo, lontanissimo dalla porta avversaria, ma nonostante questo prese il pallone e ci disse: La tiro io. Inutile raccontare l'epilogo: palla all'incrocio dei pali e vittoria 2-1. Una gioia unica». A quei tempi Luca giocava a centrocampo, ma sulla fascia opposta. «Lorenzo era incredibile, saltava gli avversari come birilli e fermarlo era impossibile». Ma loro due erano inseparabili. «In trasferta eravamo in camera insieme. Adesso mi ha sostituito con Immobile, direi che non gli è andata malissimo», aggiunge Luca con un sorriso e quel pizzico di emozione per l'amico d'infanzia.
Ha impiegato pochissimo a diventare il talento della scuola calcio, ma anche il tormento per le difese avversarie. «In partita provavano a fermarlo in 6 o 7 bambini, ma tutti senza risultati», ricorda l'ex compagno Antonio D'Errico. «Il nostro allenatore gli cambiava spesso numero di maglia, perché si era sparsa la voce che il nostro 10 fosse immarcabile. La sua strategia durava pochissimo, perché dopo appena 2 minuti di partita tutti lo riconoscevano per il talento e la capacità di saltare l'uomo. E poi il tiro da fuori: è sempre stato il suo marchio di fabbrica fin da quando era piccolissimo».
E di quella squadretta c'è ancora chi conserva i cimeli. «Ho un autografo di Lorenzo con la grafia delle scuole elementari», racconta Antonio Luigi Vitale. «Per me già all'epoca era un predestinato. E per fortuna era un mio compagno. Perché io da difensore lo dovevo marcare solo in allenamento, mentre in partita era dei nostri. Era mingherlino, ma un fulmine. Palla al piede era impossibile da fermare nonostante oramai tutti conoscessero a memoria le sue qualità e le sue movenze. E il bello è che all'epoca non esistevano video online o tv che trasmettessero le gare: era tutto un passaparola su Lorenzo». Ma gli stessi ragazzini che per anni lo hanno inseguito - in vano - oggi lo guardano in tv con la Nazionale. Maglia numero 10, e questa volta non c'è davvero il rischio di sbagliare.