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LUCIANO SPALLETTI

Spalletti, il Napoli e Maradona: ecco l'ufficio a Castel Volturno

Castel Volturno come casa: qui dorme, qui lavora, qui consuma i pasti

Luciano Spalletti nel suo ufficio a Castel Volturno
Luciano Spalletti nel suo ufficio a Castel Volturno
Giuseppe Taorminadi Pino Taormina
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 19 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. : 20 Maggio, 15:59
4 Minuti di Lettura

Il mondo di Luciano è tutto in quel suo ufficio pieno zeppo di maglie di Maradona e che fanno tornare indietro negli anni. Diego è eternità. Spalletti non colleziona solo quelle celebrative che il Napoli ha prodotto negli ultimi anni assieme a Stefano Ceci, ma spuntano dalla sua parete maglie degli anni d'oro, compresa una 10 rossa che è la storica seconda maglia degli anni 80. Le ha messe una vicina all'altra, le vuole lì a Castel Volturno e non in Toscana dove ne tiene custodite a migliaia. Diego è Diego per Luciano e ogni volta che può lo cita, lo tira in ballo, abbraccia il suo ricordo. I compagni lo adoravano non perché era immenso, ma perché era lui. E questa adorazione è eterna, anche adesso, anche nell'allenatore che con questo scudetto ha conquistato un posto tra i grandi del calcio a Napoli. Ci sono libri dedicati al Pibe che spuntano dalla sua biblioteca e c'è una parete meravigliosa, piena di crocifissi e rosari che fanno emergere la sua fede, la sua religiosità. E che lo rendono personaggio unico. Tra i pochi a non nascondere il suo credo, la sua passione, il suo amore per Cristo. Poi, c'è la scrivania, dove colleziona i corni e i cornetti che un po' tutti, in queste due anni, hanno fatto a gare per collezionare. E quei cuoricini con i nomi dei suoi calciatori. Una piccola chicca. Oltre a quelle coppe che gli ha consegnato la Lega, per il «tecnico del mese», messe quasi in un angolo. Tutto in una stanza. Una stanza che dice tanto di Spalletti, dell'allenatore che ha riportato lo scudetto al Napoli. Lui, ormai, si è trasferito a Castel Volturno da prima di Natale: qui dorme, qui lavora, qui consuma i suoi pasti. Una sorta di eremita per dare «tutto per lei», come ama ripetere. Ma non è uno slogan, è la verità.

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«Maradona sarebbe orgoglioso di questa squadra, lui è come se fosse sempre vicino alla squadra. Abbiamo la statua nello spogliatoio, i ragazzi dentro mettono delle canzoni che riguardano lui». Ci crede davvero. Maradona è ancora il Napoli. Luciano Spalletti non riesce a evitare di fare il suo nome ogni volta che può. Vivere il calcio di Maradona e degli altri dèi dell'Olimpo era una festa continua, un sabba, un banchetto infinito. Quasi ogni partita conteneva il meglio del mondo. «Sarebbe fiero di questo Napoli», disse dopo lo show ad Amsterdam quando quelli dell'Ajax. «Il mito di Maradona noi lo sentiamo sempre, attraverso la sua qualità noi siamo anche un poco migliori». 

 

Non vuole più soldi. La questione non è un rinnovo per avere un aumento dell'ingaggio. E conosce benissimo le possibilità finanziarie del club e ha sempre sottoscritto, dal buon aziendalista che è sempre stato anche alla Roma e all'Inter, i piani di rinforzo, senza mai chiedere la luna. Questo significa che la rottura può consumarsi su altre ragioni. Che sono legate solo dal timore di Spalletti che quel limite raggiunto quest'anno non possa essere superato. Poi magari c'è qualcosa che non gli è andata giù a un signore di 64 anni che ha pure il suo bel carattere: la scena rubata da De Laurentiis al premio Bearzot, le critiche alla Uefa, la rottura con i tifosi («Se vedo altre scene mi alzo e me ne vado») a cui il patron ha poi posto rimedio. Insomma, roba da perdere la testa. Lui per ora rimane gelido, evasivo. E a nessuno di quelli che incontra dice la frase che vorrebbe sentirsi dire: stessero tutti sulla graticola. I tifosi del Napoli pagherebbero per ascoltare, ad esempio, un «rimango» che non viene pronunciato, nonostante ci sia un contratto fino al 2024. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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