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Milan-Napoli in cinque duelli:
fuori i secondi, chi è l'anti-Inter?

di Bruno Majorano
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 15 Dicembre 2021, 07:00 - Ultimo agg. : 19:22
6 Minuti di Lettura

Chissà, forse alla fine della stagione non dovremo più andare a scomodare Gullit, Van Basten, Careca e Maradona. Perché dopo quelle indimenticabili lotte scudetto di fine anni 80, entreranno nella storia quelle della stagione 2021-22. D'altra parte fino a due settimane fa Milan e Napoli viaggiavano a braccetto al primo posto della classifica. Poi la frenata che adesso le vede rincorrere, ma non per questo meno candidate di Inter e Atalanta per il titolo finale. Pioli ha saputo normalizzare un ambiente che sembrava destinato allo sfascio, Spalletti ha rimesso in ordine le cose dopo lo tsunami di Napoli-Verona. A modo loro hanno dato un'anima a Milan e Napoli rendendole squadre prima ancora che vincenti. Gli infortuni da una parte e dall'altra saranno un fattore domenica sera a San Siro, ma, al netto dei recuperi last minute, si tratterà di una sfida senza esclusione di colpi. I moduli praticamente sono a specchio (due 4-2-3-1) con qualità diverse e individualità che possono fare la differenza. La fisicità di Anguissa e Kessie, l'estro di Insigne e Diaz, i gol di Ibra e Mertens, ma anche le parate di Maignan e Ospina e le chiusure difensive di Romagnoli e Rrahmani.

I portieri 

Dura la vita del portiere. Quando sei giovane senti il peso delle responsabilità sulle spalle e ogni errore può precluderti la crescita. Quando sei maturo basta un'uscita fuori tempo, un intervento goffo o una presa sbagliata per essere etichettato come «bollito». Tra Maignan e Ospina ci sono 7 anni di differenza. Il francese - 26enne - è arrivato dal Lille in estate con il peso di aver vinto il campionato in Francia (mettendosi alle spalle il Psg di Neymar e Mbappè) e quello di raccogliere l'eredità di un mostro sacro come Donnarumma. Ospina - 33enne - al Napoli è arrivato come «ruota di scorta» sul gong del mercato estivo del 2018 per sopperire all'infortunio al braccio di Meret. Entrambi hanno impiegato pochissimo a conquistare la fiducia di allenatori e tifosi: a suon di parate, interventi decisivi e grande concretezza. Ospina si è distino per una grandissima capacità di leggere il gioco e sfruttare i piedi nel palleggio dal basso, Maignan per reattività ed elasticità nelle parate. I sette anni che li dividono rappresentano anche una sorta di passaggio di generazionale: il francese nel pieno della sua carriera, il colombiano all'inizio della parabola inevitabilmente discendente. Domenica si sfideranno a distanza e le loro parate potranno essere decisive al pari delle giocate degli attaccanti. 

Le riserve 

«Da grande voglio fare il posto fisso», annunciava fiero il bambino Checco Zalone in una delle più famose scene del suo «Quo vado?». Ecco, difficile immaginare che quel bambino avrebbe potuto finire per fare il calciatore oggi. Oggi il posto fisso non ce l'ha più nemmeno il portiere, il più sicuro dei ruoli nella storia del calcio, figuriamogli gli altri. Questo fenomeno, però, apre le porte del campo davvero a tutti: anche a quelli che arrivati in estate con la certezza di svernare in panchina, da un giorno all'altro si ritrovano titolari nelle partite più decisive della stagione. Per informazioni rivolgersi ad Alessio Romagnoli e Amir Rrahmani. Le loro parabole sono diametralmente opposte, perché Romagnoli del Milan è stato anche il capitano, salvo poi pagare un periodo di inattesa involuzione che lo ha portato in seconda fila nella griglia di partenza delle gerarchie di Pioli. L'infortunio di Kjaer, però, lo ha rimesso al centro del villaggio, anzi della difesa e al fianco di Tomori forma l'ultima diga a protezione di Maignan. Rrahmani, invece, è arrivato a Napoli con la consapevolezza di dover aspettare il suo turno perché davanti aveva due mostri sacri come Koulibaly e Manolas. Poi, però, il greco è venuto meno a causa di una serie infinita di infortuni e il kosovaro è diventato titolare fisso. Ecco, Checco Zalone sarebbe davvero fiero di lui.

I muscoli 

C'è stato un tempo nella storia del calcio in cui chi era mediano doveva picchiare. E basta. Luciano Ligabue - che di mestiere fa il cantante, non il calciatore - su questo ruolo ci ha quasi costruito una carriera. Dura la vita del mediano: «che natura non ti ha dato, né lo spunto della punta, né del 10 che peccato». Come tante cose, però, anche il ruolo del mediano ha subito un'evoluzione. A partire dal punto di vista semantico: da mediano a mezzala, cioè da quello che deve stare in mezzo al campo a quello che è un po' deve stare in mezzo e un po' è ala. Da questo punto di vista Zambo Anguissa e Frank Kessie sono tra i massimi esponenti dell'evoluzione del ruolo. Provare a superarli (nell'uno contro uno o in velocità) rientra nella sfera delle «Missioni impossibili», ma le loro qualità sono tali che una volta borseggiato il pallone al malcapitato di turno, sanno anche cosa farne. E non si tratta del passaggio a un metro per il compagno più vicino. Allungano la falcata, si buttano dentro (come dicono in Premier, fanno il «box to box») e diventano a tutti gli effetti degli attaccanti aggiunti. Al netto dei calci di rigore di Kessie, segnano poco, ma il contributo in entrambe le metà campo è quasi impossibile da quantificare. Lo sanno bene Pioli e Spalletti che pensano alla coppa d'Africa e si fanno venire il mal di testa. 

Le stelle

Nella smorfia napoletana il numero 34 rappresenta la testa. No, non può essere un caso che la somma aritmetica di Lorenzo Insigne (24) e Brahim Diaz (10) faccia esattamente quel numero: 34. D'altra parte sono loro due ad essere le menti geniali di Napoli e Milan, quei giocatori dai quali ti puoi aspettare qualunque cosa: la giocata sensazione o l'errore più banale. Genio e sregolatezza, proprio come nella migliore tradizione dei numeri 10. Ecco, Lorenzo quella maglia la indossa solo in Nazionale, perché nel Napoli è appartenuta al più 10 di tutti, e per tanto ripiega sul 24. Diaz, invece, l'ha ereditata quest'anno da Calhanoglu e la sta portando con tutti i crismi che compete. Lorenzo e Brahim giocano in zone diverse: il napoletano a due passi dalla linea del fallo laterale, lo spagnolo giusto uno fuori la mezzaluna che precede l'area avversaria. Perché è lì che entrambi hanno nascosto l'interruttore per accendere la luce delle rispettive squadre. I compagni potrebbero trovarli anche ad occhi chiusi: per un tiro a giro o per un'imbucata tra le linee. Difficilmente per un colpo di testa, perché quella la usano per inventare. Potrebbero perfettamente giocare insieme: 24+10, il 34 perfetto. Le due teste che farebbero di ogni squadra un mostro: ma vincente. 

I bomber 

La sua biografia, uscita da pochissimo, si intitola «Adrenalina», ed è esattamente quella che schizza alle stelle quando in campo c'è lui. Zlatan Ibrahimovic è quella scarica, di adrenalina appunto, che arriva dritta al petto dei compagni non appena gli vedono infilare la maglia numero 11. Lo scorso 3 ottobre è entrato nell'età degli «anta», ha soffiato su 40 candeline e per gli appassionati di gerontologia è già nel suo 41esimo anno di età. Ma non andateglielo a dire, Ibra (7 gol e 2 assist dall'inizio della stagione) si sente ancora il più ragazzino di tutti. Ecco, a proposito di ragazzini: dall'altra parte ci sarà Dries Mertens che con i suoi 34 di anni, a confronto sembra letteralmente un poppante, uno di quelli che gira per il campo ancora con il biberon in bocca. Peccato che quel «bambino» con la maglia numero 14 sia già diventato il più grande marcatore nella storia del Napoli e che da quando si è ripreso il posto di attaccante titolare per l'infortunio di Osimhen sia diventato quasi una sentenza sotto porta: 5 gol nelle ultime 5 partite. Alla faccia dell'età. Lui e Ibra (ieri in visita dal Papa) fanno 74 anni in due, età più adatta alla pensione che al campo, ma non andate a pronunciare quella parola (pensione) a nessuno dei due. Di smettere non vogliono nemmeno sentirle parlare. E finché la buttano dentro...hanno sempre ragione loro.

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