Alemao e il Covid: non lavoro più
«Il mio Napoli? Più forte del razzismo»

Alemao e il Covid: non lavoro più «Il mio Napoli? Più forte del razzismo»
di Francesco De Luca
Domenica 26 Settembre 2021, 19:55 - Ultimo agg. 27 Settembre, 07:19
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«Cosa faccio adesso? Niente, non sto lavorando. Mi sto riprendendo dal Covid, contratto tre mesi fa. Ho vissuto momenti molto difficili». Il 22 novembre Ricardo Rogerio de Brito, detto Alemao, compie sessant'anni. È stato uno dei centrocampisti più forti della storia del Napoli, preso da Luciano Moggi con un colpo di teatro nel 1988, quando la squadra venne rifondata dopo aver perso lo scudetto. Il manager fece credere di aver puntato su Nicola Berti e invece fece un blitz notturno a Madrid per acquistare il brasiliano, colonna dell'Atletico. Ingiustamente Alemao - vincitore di Coppa Uefa, scudetto e Supercoppa - è ricordato per l'episodio della moneta che lo colpì nel '90 a Bergamo, punito dalla giustizia sportiva con l'assegnazione di due punti a tavolino, secondo il Milan decisivi per lo scudetto al Napoli. La squadra di Alemao, Careca e Maradona lo avrebbe vinto comunque: Berlusconi, Galliani e Sacchi (che continua a definire quel campionato «un furto») fecero male i conti. 

Alemao vive in Brasile, si sta riprendendo dal Covid. C'era stata molta apprensione per le sue condizioni di salute in Brasile e anche a Napoli, dove ha lasciato bei ricordi nei tifosi. Vorrebbe al più presto tornare operativo nel mondo del calcio. Scova talenti e partecipa ad operazioni di mercato. Nel dicembre 2000 fu vicino al Napoli di Corbelli e Ferlaino in occasione dell'acquisto di Edmundo, O Animal che fece vedere poco talento e non riuscì a salvare gli azzurri. I ricordi gli fanno compagnia. «Il Napoli di Maradona, Careca e Alemao fu il più forte della storia.

Spero che presto ne arrivi un altro che vinca», ha detto al sito argentino Infobae che lo ha intervistato a dieci mesi dalla morte di Maradona. «Ci eravamo sentiti una settimana prima della sua scomparsa attraverso Whatsapp, mi aveva detto che non stava bene. Un uomo unico, Diego. Prima delle partite ci diceva negli spogliatoi “tranquilli, vinciamo 2-0”. Bastava la sua presenza per spaventare gli avversari. Purtroppo chi gli era vicino non ha saputo assisterlo». E i suoi problemi con la droga in quegli anni a Napoli? Scontata la risposta di Alemao: «Non sapevamo niente, poi ne scrissero i giornali». 

Nei ricordi di Alemao non ci sono soltanto i trionfi. C'è altro. C'è quella molla che faceva scattare gli azzurri quando giocavano negli stadi del Nord. «Scritte e cori razzisti ci davano forza, esaltavano il nostro spirito competitivo. Essere straniero a Napoli e rappresentare i colori azzurri è stato molto di più di una questione calcistica. Significava difendere i napoletani che erano trattati in modo vile al Nord, come se Napoli non fosse una città italiana. Era inimmaginabile una situazione simile nello stesso Paese, eppure esisteva. Da parte dei tifosi c'era un senso di gratitudine per quanto facevamo sul campo, ecco perché giocare nel Napoli era speciale: come in nessun altro posto».

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