Napoli campione d'Italia: il racconto della partita che vale il tricolore

È di Osimhen il gol che fa esplodere la festa- Ed è giusto così

CantaNapoli a Udine
CantaNapoli a Udine
Giuseppe Taorminadi Pino Taormina
Venerdì 5 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 6 Maggio, 09:03
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Canta Napoli. Fallo, non fermarti più, lo scudetto è tutto tuo! Benvenuti nella leggenda. Questo Napoli di Osimhen, Kvaratskhelia, Lobotka, Anguissa, Kim, Di Lorenzo, Meret e di tutti gli altri adesso è tra gli immortali. Come lo sono stati i due Napoli di Maradona. Trentatré anni di attesa, un'infinità. Lo scudetto scatta alle ore 22,37, l'ora esatta per il titolo numero tre della storia e il primo dell'era De Laurentiis. Questa brezza leggera che rasserena la notte di Udine, sorvola la Dacia Arena e si ferma sul prato, la ricorderemo a lungo. Forse, per sempre. È il soffio profumato della storia che passa, si ferma e si inchina al Napoli. Che impresa, che fantastica impresa. Che stagione memorabile. Impazziscono di gioia, gli azzurri, dopo la grande paura per il gol di Lovric e la scossa che arriva con il pari di Osimhen. Rimangono lì tutti, giocatori e pubblico, a godersela, sul terreno dell'Udinese, nessuno vuole andare a casa perché quant'è bello piangere di gioia e di felicità per questo campionato stravinto. Non esce nessuno, i calciatori sono sotto la curva. L'invasione del campo è massiccia, i tifosi travolgono gli azzurri. I 14 mila tifosi azzurri osannano tutti, hanno ragione. Poi una cinquantina di ultrà udinese rovina tutto, entra in campo, cerca e ottiene lo scontro e un pericoloso fuggi fuggi generale (ci sono anche dei tifosi feriti). Solo allora la polizia si piazza sotto le due curva in assetto antisommossa ed evita il peggio ma sono scene brutte, violente con mini risse e agenti che vengono colpiti mentre quasi tutti scappano via. 5 minuti di caos, di ordinaria folli. Poi è tornata l'ora della festa. È una folla eccezionale, rumorosa, appassionata, che tifa 90 minuti su 90, ed è davvero il dodicesimo uomo: ha trascinato il Napoli che per molto tempo con l'Udinese è rimasto frastornato. Ma loro, i tifosi, non hanno mai mollato la squadra, neppure per una frazione di secondo. Una squadra che ha regalato bellezza assoluta per mesi, poi ha un po' frenato ma adesso si è preso ogni cosa. Ecco, sono queste le ore delle emozioni, delle lacrime, della follia. Campioni d'Italia da febbraio, mai in affanno, mai un momento in cui c'è stato un anti-Napoli. Neppure per un istante c'è stato un'ombra: né dopo l-0 con l'Inter, né dopo il ko in casa con la Lazio. Banalissimi sbandate.

Calciatori denudati, braccia al cielo. Kvara che non si ferma per un istante. Di Lorenzo, il capitano che sembra un cavaliere tipo Lancillotto con una riga di pianto negli occhi, portato a spalla dai fedeli Kim e Olivera. La festa è senza fine, la gente aspetta la squadra fino a notte fonda, la polizia deve blindare gli azzurri da questo abbraccio pieno d'amore. Che è solo un assaggio di quello che li attende al ritorno a Napoli, quando domenica torneranno al Maradona. «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell'Italia siamo noi». Meret, Di Lorenzo, Kim, Rraahmani... è la filastrocca che i bambini appassionati di calcio e di fede azzurra ricorderanno per sempre, molto più di quelle del libro di scuola tipo «ei fu siccome immobile». Sono loro gli eroi di Napoli, quelli che riportano lo scudetto in città che dal 90 solo qualche altra volta si era limitata all'illusione. Lo scudetto arriva dopo l'1-1 di Udine. Serviva un punto, un punto è arrivato. L'obiettivo era già in cassaforte, ma ora è tutto più bello. De Laurentiis è rimasto a Napoli, chiama la squadra nello spogliatoio, non è facile parlare. È la festa più bella. Di sicuro una fra le più meritate, visto che il Napoli è rimasto in vetta da settembre fino all'ultima giornata, una volata senza soluzione di continuità che nel dopoguerra non ha praticamente paragoni. Forse ha una data questo scudetto: quando gli avvocati di Mertens, sabato 4 giugno inviarono a De Laurentiis con la richiesta di 8 milioni lordi per far restare Ciro un altro anno. Il patron comprese che doveva tagliare il cordone ombelicale con l'altro figlio di Napoli, dopo Insigne e Koulibaly. Era ora, tutta Italia dovrebbe essere contenta per questa catena spezzata, e invece è un susseguirsi di minacce, avvertimenti e sciocchezze di questo tipo a non festeggiare. È uno scudetto da razza padrona, per una squadra e per dei giocatori che non sono mai stati abituati a comandare. Solo Lobotka ha vinto un titolo, quello slovacco. Poi nessun altro ha mai conquistato un campionato, prima di adesso. Un trionfo, uno scudetto mai incerto. Il massimo che le agenzia di scommesse sono riusciti a mettere in ballo è stata la giornata in cui il Napoli avrebbe conquistato lo scudetto. Tutti stravolti dalla loro prima volta come Meret che è cresciuto a Udine e ha la famiglia a pochi chilometri da qui: il portiere che deve tutto a no di Navas. Se non avesse rinunciato a tagliarsi l'ingaggio, il portiere del Psg sarebbe arrivato a Napoli. L'idolo è Kvara, scappato dalla guerra esplosa in Russia, dalle tensione internazionali per il conflitto in Ucraina. A parte i rigori, non c'è una cosa che non faccia in maniera spettacolare. È lo scudetto di Kim che era arrivato come l'erede di Koulibaly, roba da far tremare il sangue nelle vene. Non ha mai sbandato. È il Napoli di Zielinski, che dopo il gol di Raspadori alla Juventus, si è steso a terra senza gioire per la rete come se fosse stata una liberazione. È lo scudetto davvero di chi ha scelto di venire pur sapendo che avrebbe fatto il gregario, come Raspadori, mister 35 milioni e il Cholito Simeone. E poi gli altri, tutti gli altri. Dopo il fischio finale sono arrivati i complimenti da tutti, a partire dal ct della Nazionale Roberto Mancini che sui social ha postato una foto della squadra del Napoli scrivendo «Complimenti». 

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