Aurelio De Laurentiis si è preso due volte la scena, a pochi giorni dalla sconfitta contro la Lazio, ininfluente nel cammino verso lo scudetto. Alla Vanvitelli di Santa Maria Capua Vetere e nella sede della stampa estera a Roma ha lanciato messaggi chiari per il presente e il futuro, dedicati al Napoli e anche a Napoli.
Partiamo da Napoli, dall'ambiente e da quella parte di tifoseria che reclama la possibilità di riportare bandieroni, striscioni e tamburi all'interno dello stadio. Per De Laurentiis è un falso problema, nel senso che lui vuole anzitutto il rispetto di regole che nelle curve - lo ha denunciato anche un lettore del Mattino oggi nella rubrica della posta - sono spesso ignorate, con tifosi che fanno sloggiare chi occupa i posti assegnati in base all'abbonamento o al biglietto. La stretta decisa dal questore Giuliano dopo gli scontri con gli ultrà della Roma sulla A1 a inizio gennaio è pienamente condivisa dalla società e quindi non vi sarà alcuna apertura. Una linea, ovviamente, ancor più rafforzata dopo gli striscioni - firmati da un gruppo delle curve - apparsi nella notte contro un giornalista televisivo.
Passiamo al Napoli. Il presidente che ricorda di aver pronunciato la parola «scudetto» in una conferenza stampa del 30 maggio, davanti a uno Spalletti un po' sorpreso e un po' preoccupato, ha deciso di alzare l'asticella. È uscito dall'ombra, pur essendo molto scaramantico, e ha detto: «Perché non scudetto e Champions League?». Sognare non è vietato ma soprattutto De Laurentiis si fida di questo gruppo e di questo allenatore, ecco perché ritiene che il Napoli possa avanzare anche in Europa. Un passo alla volta, certo. E il prossimo è il match del 15 marzo contro l'Eintracht al Maradona.
Infine, una rivendicazione - chiamiamola così - del rigore finanziario che si è rivelata vincente. De Laurentiis ha imposto il fair play finanziario per il Napoli ancor prima che lo disponesse la Uefa perché convinto che questa sia l'unica strada per evitare di alterare il bilancio o di tornare al punto di partenza, cioè a quel giorno dell'estate del 2004 quando il glorioso club di Maradona venne dichiarato fallito e lui si mosse da Capri con assegni circolari da 28 milioni per acquistare il titolo in tribunale.
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