Quando dovette scegliere il nome da dare alla sua band per fare il salto di qualità nella grande industria discografica, Thom Yorke decise di pescare nel repertorio del suo gruppo preferito, i Talking Heads, e da loro scelse il titolo di una canzone, Radiohead. Non è impensabile, a questo punto, che qualcuno, in procinto di fare il big leap in qualche altro settore della vita artistica e professionale, decida di assumere come nome d'arte Il Napoli di Spalletti. Quello che si vede ormai ad ogni partita, di campionato e non, sembra l'esecuzione di uno spartito. Diverso dai precedenti ma sempre in grado di strappare applausi. E, in effetti, quello sceso in campo ieri pomeriggio a Fuorigrotta per difendere l'imbattibilità contro l'Empoli, è un Napoli diverso da quello visto, chessò, con Atalanta e Liverpool. Un Napoli paziente e meditativo. E la zampata non poteva che provenire da Osimhen che, a ragione o no, pone le basi per questionare su un rigore incaponendosi sul recupero di un pallone che il 90% degli attaccanti avrebbe già salutato con pacifica rassegnazione tre ore prima. Il rigore, trasformato in vantaggio da Lozano, spazza via le paure da sindrome dell'impostore dei napoletani che, all'indomani di un sorteggio incredibilmente non feroce in Champions League, già attendevano la contropartita con qualche défaillance in campionato. E invece no.
Poi ci ha pensato Zielinski, con quella classe che lui solo sa infondere sul terreno verde quando tiene genio, a chiudere la discussione.