Napoli, riecco il diamante Fabian:
se l'eleganza diventa sostanza

Napoli, riecco il diamante Fabian: se l'eleganza diventa sostanza
di Marco Ciriello
Martedì 18 Gennaio 2022, 07:14 - Ultimo agg. 19 Gennaio, 07:16
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La costruzione è tutto, e Fabian Ruiz la incarna. Le sue visioni “fanno” il Napoli. Gioca senza trascurare l’estetica, appoggia d’esterno, scucchiaia, inventa, elabora e lancia di precisione, apparecchia tiri per l’incrocio che finiscono sul palo, dribbla e compone. Manca solo il gol. Ma lo fa fare a Hirving Lozano, il secondo. Una gran partita, dove fa apparire semplice ogni giocata, anche perché è sostenuto da uno Zielinski che gli fa da scala, supportandone le accelerazioni e sviluppandone le azioni. Insieme annientano il volenteroso e combattivo Bologna di Siniša Mihajlovic.

In Coppa Italia, Fabian Ruiz, era stato disastroso, e doveva farsi perdonare la caduta. Sfoggia tutta la sua grandezza, prendendo in mano il gioco del Napoli, diventando la sponda sicura per ogni giocata, e l’uomo capace di dare il pallone giusto per entrare in area. Lo fa subito con Lozano, scavalcando la linea difensiva bolognese con un cucchiaio, ma Lukasz Skorupski è bravo nell’uscire e chiudere spazio e porta. Ma Ruiz sa che deve recuperare la brutta prestazione, sfoggia anche una voglia bambina di gioco, è stato lontano dal campo, dalle partite, e appena tornato ha commesso una leggerezza, questa è la partita della riemersione. Deve oltrepassare la linea della tristezza e del cattivo gioco e tornare il centrocampista che lo domina e amministra, l’uomo che decide i gol. Si impegna e ci riesce. Appena vede qualcuno che fa gli serve il pallone con i giri giusti e la geometria perfetta, che sia Mertens o Zielinski, lui lancia l’amo e la difesa bolognese abbocca, il resto non dipende più dalla sua classe. Ruiz genera fatti sorprendenti, porta stupore, poi guarda e sorride. La sua carica interiore è tutta nella gestione – con grande tecnica – del pallone, genera l’inatteso, apre spazi e gallerie e poi aspetta il prossimo giro. Un vero Luna Park per palloni in avanti.

La sua eloquenza comincia fin dalla ricezione, e prosegue con un dribbling largo o un alleggerimento che richiede una restituzione del pallone, sempre avanzando, accerchiando gli avversari, per poi boulevardizzare sul velluto.

Il suo stare in campo è aristotelico – essere con sostanza – «ciò che è in sé e per sé», col pallone e senza. Giravolte, tunnel e visioni sono sempre il riflesso di un andare con essenza, con manovre che elevano il palleggio napoletano. Non c’è vanità in Ruiz, ma una intensità intermittente che gli permette di ragionare avanzando, esce di continuo dall’oscurità che crea il possesso palla, innalzandolo. È la fine dell’impalcatura spallettiana – con Zielinski – perché è l’uomo dell’operatività, fino a quando il pallone non lo raggiunge nella parte del campo giusta c’è la costruzione della trama, una volta che l’ha trovato ha inizio la finalizzazione del gioco. È il fervore del gioco e la speranza che genera la chiusura dell’azione, perché capace di trovare l’uomo in area o di mettercelo, dandogli la possibilità di sciupare a oltranza – vero grande problema di questo Napoli – il gol.

Orienta le migrazioni verso la porta avversaria, rimanendo sempre eretto – un fuso – mentre sfida l’andare, sentendo il vento e generando la rotta. Il suo ingegno è la percezione della fuga altrui: l’anticipo, la traiettoria, l’eleganza. La palla non è solo conquista, ma anche gestione e distribuzione, per farlo serve autostima e misura, e Fabian Ruiz ne è pieno. Ha sempre l’andatura esatta, anche quando sembra lento, sta tergiversando per far coincidere i momenti, il suo e quello che ha immaginato. Le sue palle sono rette di fraseggio che aspettano i destini che i suoi piedi compongono.

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