La costruzione è tutto, e Fabian Ruiz la incarna. Le sue visioni “fanno” il Napoli. Gioca senza trascurare l’estetica, appoggia d’esterno, scucchiaia, inventa, elabora e lancia di precisione, apparecchia tiri per l’incrocio che finiscono sul palo, dribbla e compone. Manca solo il gol. Ma lo fa fare a Hirving Lozano, il secondo. Una gran partita, dove fa apparire semplice ogni giocata, anche perché è sostenuto da uno Zielinski che gli fa da scala, supportandone le accelerazioni e sviluppandone le azioni. Insieme annientano il volenteroso e combattivo Bologna di Siniša Mihajlovic.
In Coppa Italia, Fabian Ruiz, era stato disastroso, e doveva farsi perdonare la caduta. Sfoggia tutta la sua grandezza, prendendo in mano il gioco del Napoli, diventando la sponda sicura per ogni giocata, e l’uomo capace di dare il pallone giusto per entrare in area. Lo fa subito con Lozano, scavalcando la linea difensiva bolognese con un cucchiaio, ma Lukasz Skorupski è bravo nell’uscire e chiudere spazio e porta. Ma Ruiz sa che deve recuperare la brutta prestazione, sfoggia anche una voglia bambina di gioco, è stato lontano dal campo, dalle partite, e appena tornato ha commesso una leggerezza, questa è la partita della riemersione. Deve oltrepassare la linea della tristezza e del cattivo gioco e tornare il centrocampista che lo domina e amministra, l’uomo che decide i gol. Si impegna e ci riesce. Appena vede qualcuno che fa gli serve il pallone con i giri giusti e la geometria perfetta, che sia Mertens o Zielinski, lui lancia l’amo e la difesa bolognese abbocca, il resto non dipende più dalla sua classe. Ruiz genera fatti sorprendenti, porta stupore, poi guarda e sorride. La sua carica interiore è tutta nella gestione – con grande tecnica – del pallone, genera l’inatteso, apre spazi e gallerie e poi aspetta il prossimo giro. Un vero Luna Park per palloni in avanti.
La sua eloquenza comincia fin dalla ricezione, e prosegue con un dribbling largo o un alleggerimento che richiede una restituzione del pallone, sempre avanzando, accerchiando gli avversari, per poi boulevardizzare sul velluto.
Orienta le migrazioni verso la porta avversaria, rimanendo sempre eretto – un fuso – mentre sfida l’andare, sentendo il vento e generando la rotta. Il suo ingegno è la percezione della fuga altrui: l’anticipo, la traiettoria, l’eleganza. La palla non è solo conquista, ma anche gestione e distribuzione, per farlo serve autostima e misura, e Fabian Ruiz ne è pieno. Ha sempre l’andatura esatta, anche quando sembra lento, sta tergiversando per far coincidere i momenti, il suo e quello che ha immaginato. Le sue palle sono rette di fraseggio che aspettano i destini che i suoi piedi compongono.