Napoli, salvate il soldato Demme:
è l'uomo che non può mollare mai

Napoli, salvate il soldato Demme: è l'uomo che non può mollare mai
di Marco Ciriello
Lunedì 19 Aprile 2021, 08:30
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Appartiene ai calciatori silenziosi che macinano e corrono, spezzano il gioco avversario e generano quello della propria squadra, senza clamore né grandi tocchi, e che sembrano usciti dai film di Frank Capra per come si spendono in generosità e si accontentano. Ecco, esistesse un album Panini che mette insieme la storia del cinema e quella del calcio: Diego Demme sarebbe un caprista, uscito direttamente dai film del regista italo-americano. Un calciatore generoso, defilato, un gregario da ciclismo, che si tiene alla larga dalle élite, ma che è il calcio. Demme è tutto quello che il progetto Superlega si perderà, sempre che trovi la strada per realizzarsi, e quindi Demme è il vero calcio, quello che spinge Tim Parks ad andare allo stadio e molti scrittori a scriverne, è quello che suda, lotta, sparisce, ma che poi a contare le sue partite e i suoi palloni ci si accorge che serve, e tanto. Perché è la fatica, il calcio sporco, nel mezzo, l'uomo confine, il medio e la mediana, che poi diventa squadra, e coltiva il sogno. Non è mai metafisico come può esserlo il campione perché non può permetterselo, non può lasciare il ruolo, perché il suo ruolo è il concetto centrale del gioco ed è anche l'essenza, lo sforzo di andare oltre se stessi, e la possibilità da piccolo di diventare grande in una partita, coltivando il sogno. Demme è l'elemento corporeo del calcio del Napoli di Gattuso, che diventa anche la metafora di questo tempo di mezzo, che vorrebbe essere altro, cambiare formula, avere solo giocatori eccelsi e perfetti, escludendo la normalità e la sua ambizione di farsi provvisoriamente eccezionalità. Poi i Demme salvano le sere, come succede con l'Inter, portano a casa un pareggio inatteso che sta pure stretto al Napoli, proprio perché figlio dell'allungo da parte di chi non ti aspetti, è il gregario che decide la corsa, come il centrocampista di fiato che segna la partita.

 

Demme è il muratore, senza il quale non c'è l'architettura, mentre la Superlega è il torneo delle archistar. È l'immersione totale a prescindere dallo sponsor e dal risultato, è l'improvviso dopo la costanza, una ipoteca sulla partita che porta altri nomi.

Molto realista, deve recuperar palloni non prodursi in rabone, deve salvare il confine, tenere la linea e gli ordini, permettendo l'inquietudine, il dubbio, e l'errore a chi gli sta davanti. Demme ha il sovraccarico e deve tenerlo, non può smarrirsi, né disobbedire, e nemmeno farsi etereo, deve rispondere agli attacchi, spezzare i fraseggi, controllare i tempi di gioco, un po' metronomo molto essenza. I centrocampisti sono i socialisti deboli del calcio, per forza di cose devono essere riformisti, per forza di cose sono chiamati anche a conservare il buono, in un difficile equilibrio tra battere e levare, avanzare e indietreggiare, auspicando il vantaggio e difendendolo poi, in un continuo dialogo interrotto con gli uomini dietro e quelli davanti. Demme è diventato la base silenziosa del cantiere Gattuso, a lungo rimasto impaludato, e che ora vede una evoluzione che sembrava impossibile. Il centrocampista tedesco oscillante tra reverenza e insofferenza, prima, ora ha una sicurezza da radicato calciatore nel campionato italiano non ci voleva molto soprattutto in queste ultime stagioni che la retta via pare smarrita facendosi influsso straordinario di gioco in copertura e ripartenza. E, ora, quelli come Demme diventano fondamentali perché come Kurt Russell /Jena Plissken in 1997: Fuga da New York di John Carpenter, sono gli unici capaci di muoversi da quest'altra parte del calcio, quello dei poveri, della strada, del sogno. 

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