Napoli, la rivelazione di Galeone:
«Diego mi voleva nel suo Napoli»

Napoli, la rivelazione di Galeone: «Diego mi voleva nel suo Napoli»
di Bruno Majorano
Domenica 24 Gennaio 2021, 10:04 - Ultimo agg. 10:09
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«Buonasera Galeone, la disturbo?». «Ora no, ma senza andare troppo per le lunghe, perché alle 18 devo vedere Udinese-Inter». Domani Giovanni Galeone compie 80 anni, ma la testa è ancora quella di un ragazzino. Pensa al calcio, guarda il calcio e vive di calcio. Festeggerà a Udine, dopo 35 anni senza tornare nella Pescara dove lo ricordano per quella squadra spettacolare che negli anni 80 incantava e divertiva. Tra gol fatti e gol subiti, ogni domenica era una festa: di sicuro non si correva il rischio di annoiarsi.


E oggi questo calcio che tanto segue cosa le dice?
«Questa moda di dover partire a tutti i costi da dietro, alle volte mi fa ridere. Stanno ore a passarsi la palla nell'area piccola e mi chiedo: cosa ci fanno? Non esiste. Non riesco a concepire il fatto che il portiere tocchi più palloni del centrocampista. Mi viene il latte alle ginocchia».


Quando allenava lei, però, non ci dica che non esistevano le mode...
«Certo. C'era quella del Milan di Sacchi. Tutti provavano a copiarlo con il 4-4-2 e facendo pressing».


E poi?
«Dopo si è passati alla moda del possesso palla di Guardiola al Barcellona. Ma già al Bayern non è riuscito più a replicarlo. Perché quel Barcellona è irripetibile».


E allora ok le mode che non le vanno giù, ma c'è una squadra di serie A che le piace?
«L'Atalanta del mio allievo Gasperini».


Ma la sua filosofia di gioco non era un'altra?
«Sì, infatti, questa è più aggressiva rispetto a quello che volevo io. Gian Piero ha snaturato il mio 4-3-3 soprattutto con i tre in difesa, cosa che io non ho mai fatto. Come me, però, predica un bel gioco facendo affidamento sulla tecnica. E poi non ha paura di buttare dentro i giovani».


A proposito di giovani: nel suo Pescara lei ha fatto crescere anche Allegri, il suo figlioccio.
«Max privilegia la tecnica alla grinta e alla tattica. E poi è molto bravo a leggere le partite. Vede dove può colpire l'avversario e lo colpisce».


Chi invece tra i suoi discepoli ha fallito con il Torino è Giampaolo: se lo aspettava?
«Più che altro mi aspettavo che avrebbe avuto difficoltà. E infatti glielo dissi subiti».


Davvero?
«Ha preso la squadra che nel girone di ritorno dell'anno scorso giocava il peggior calcio d'Europa.

Erano inguardabili, rimetterli in piedi non era semplice. E poi Marco ha una testa peggio di Sarri».


In che senso?
«Sono testoni. Si mettono in testa un certo tipo di gioco e non cambiano».

Non è stato un suo allievo, ma Gattuso le piace?
«Ho visto giocare il Napoli a Cagliari e mi è piaciuto tantissimo, anche se Gattuso è uno di quelli che insiste troppo con le giocate da dietro che non mi piacciono. Però lo stimo. Ha fatto la gavetta. Non come Pirlo che invece si è ritrovato sulla panchina della Juve dalla sera alla mattina».


Ma restiamo sul Napoli, anzi sul suo Napoli, quello della stagione 1997-98.
«È stata l'unica scelta che non rifarei in tutta la mia carriera. Lo definisco un errore di presunzione. Andare in una squadra dalla quale Mazzone era scappato era una follia».


E lei a Napoli è nato: che ricordi ha di quei tempi?
«Mio padre era ingegnere all'Italsider e io sono nato a Bagnoli: un paradiso. Ho vissuto lì per 7 anni. Era il periodo della seconda guerra mondiale e sopra casa nostra c'era il comando delle forze americane dei Campi Flegrei. Il mio passatempo preferito era il cinema: andavo a vedere quasi un film al giorno».


E Napoli per lei vuol dire anche Maradona...
«Lo incontrai a cena alla Sacrestia l'anno dopo il primo scudetto. Mi disse: Deve essere il mio prossimo allenatore.»


E poi come andò?
«Avevo parlato con Moggi e sembrava tutto fatto. Avrebbero dovuto mandar via Bianchi, e invece mandarono via i giocatori. Ovviamente ci sono rimasto molto male, ma il rapporto personale era con Diego. Quando lo affrontavo con le mie squadre non lo facevo marcare. Mi dicevo: ho la possibilità di vederlo dal vivo, non posso perdermi lo spettacolo. Quando ho saputo della sua morte è stato un dolore immenso».


Oggi si parla tanto di Messi e Ronaldo: lei chi avrebbe voluto allenare?
«Senza dubbio Messi. Ronaldo è un grandissimo giocatore, molto costruito. Messi, invece, è un vero fuoriclasse: è il calcio».


Chiudiamo il cerchio tornando all'inizio: la filosofia del calcio di oggi. Quella della Nazionale le piace?
«Molto e il merito è di Mancini. È cambiato completamente da quando ha iniziato. È diventato internazionale. All'inizio ammetto che non gli volevo molto bene, perché era arrivato in panchina con un sotterfugio. Da calciatore lo rispettavo perché a mio avviso aveva ricevuto meno di quel che averebbe meritato. Ora da allenatore mi piace perché riesce a tirare fuori il meglio da giocatori che non sono fenomeni».

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