Capello incorona il Napoli:
«Scudetto, questo è l’anno giusto»

Capello incorona il Napoli: «Scudetto, questo è l’anno giusto»
di Pino Taormina
Martedì 2 Novembre 2021, 23:50 - Ultimo agg. 3 Novembre, 19:02
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«Il Napoli è una squadra che ha tutto ed è giustamente in testa. Tutto vuol dire che ha equilibrio, una difesa forte, un attacco pieno di fantasia e qualità. E una guida sicura di un tecnico che è riuscito a trasmettere subito la fiducia per poter essere competitivi». Don Fabio Capello è l’ultimo allenatore ad aver portato lo scudetto lontano da Milano e Torino. Anno di grazia 2001, a Roma. Ha vinto ovunque nella sua carriera luminosa. 

Capello, perché è così difficile vincere se non ti chiami Inter, Milan e Juventus?
«Anche se sono cambiate le società e i dirigenti, appena arrivi in quei club è come se arrivassi nella reception di un grande hotel di lusso in cui ti danno in mano le chiavi di una stanza e ti fanno accomodare e da quel momento devi avere in mente solo una cosa: vincere. Punto e basta. Altrove non è così, l’entusiasmo è spesso la cosa più difficile con cui fare i conti».

E lei alla Roma lo ha toccato con mano?
«Certo, ma anche Spalletti sa bene che è questa l’insidia. Alla Roma c’era sempre un motivo per far baldoria dopo una vittoria. A Milano, alla Juve, invece, appena vinci una partita devi già avere in testa la vittoria nella partita successiva: come se fossi un operaio. Perché vincere è la normalità».

10 vittorie in 11 partite: chi la sorprende di più vedere lassù, il Napoli o il Milan?
«Senza dubbio il Milan. Perché io in estate ero stato chiaro: se De Laurentiis non vende Koulibaly o qualcuno dei suoi big è una delle grandi favorite per lo scudetto. Ora facile a dirsi vedendo come si muovono gli azzurri in campo, vedendo la continuità dei loro risultati e la personalità con cui giocano. Per il Milan, invece, perdere Donnarumma e Calhanoglu poteva essere un brutto colpo psicologico da superare. E invece la dirigenza si è mossa bene e ha trovato dei validi sostituti».

Spalletti ha raccolto una squadra depressa per il quinto posto all’ultima giornata.
«Difficile da credere ma potrebbe essere stato un grande vantaggio per lui. Il Napoli è forte, lo era anche con Gattuso. È arrivato Spalletti e ha avuto la forza di indirizzare il gruppo psicologicamente ma anche tecnicamente nella direzione giusta. Quello che sta facendo non mi sorprende, ma ripeto: il rischio è la gestione dell’euforia».

Rispetto a un anno fa l’unico innesto è stato Anguissa. In Premier non lo voleva nessuno, arriva qui...
«Ma quanti giocatori hanno un potenziale nascosto e quando poi vanno nel posto giusto, nell’ambiente in cui si sentono valorizzati grazie alla bravura dell’allenatore giusto poi esplodono? Anguissa è uno di questi». 

È Osimhen la stella di questo Napoli?
«Lo è.

Fa la differenza, aiuta i compagni, crea gli sbocchi per gli altri e mette in difficoltà costantemente le difese avversarie che devono sempre stare attente a lui e alla sua velocità. Perché se non sei messo bene, lui ti supera e va in porta».

Allegri ha sbagliato a non seguire il suo consiglio?
«Credo proprio di sì. Se glielo chiedono adesso magari dice che avevo ragione a suggerirgli di non tornare alla Juventus. Ormai i bianconeri sono fuori dai giochi, troppe macchine là davanti, qualche sorpasso lo potrebbero pure fare ma non tutti rallenteranno».

L’Inter invece è sempre lì?
«Ah sì, guai a considerarla esclusa. È completa, ha ottimi giocatori e poi c’è la solita storia della mentalità vincente dell’ambiente».

Spalletti, Pioli, Inzaghi: vero che gli allenatori sono sempre sotto esame?
«Verissimo. E lo sono ancor di più da parte dei calciatori. Ma anche dello staff che vive ogni giorno a contatto con la squadra. Sono loro che vedono come gestisci i momenti difficili, le parole che usi, i tuoi comportamenti. La credibilità di ogni allenatore è messa in discussione ogni giorno. Anche se adesso l’equilibrio negli spogliatoi ha una minaccia in più: i social manager. Fratelli, mogli, fidanzate, amici che si mettono lì sui social e rischiano di minare il tuo lavoro con le loro frasi buttate lì».

Quale è la parola d’ordine in un gruppo vincente?
«Non solo una: onesta, serietà e rispetto. Li riconosci subito in una squadra che vince. Quando vedevo qualcuno rivolgersi male a un cameriere o anche un tifoso gli dicevo: “cosa penseresti se la persona che hai trattato così fosse tuo padre o tuo fratello?”».

Ha sempre detto: il calcio non è il basket.
«Ma sì, tutti questi rigorini non mi piacciono. È una battaglia che porto avanti da tempo, ma anche per il bene del calcio italiano. Perché quando ci si abitua a certe cose, poi quando vai in Europa e non ti fischiano nulla, paghi un pedaggio amaro. Mi sembra, però, che la sveglia nel nostro Paese sia suonata».

E a proposito di Europa, il Napoli domani va a Varsavia. Ha il potenziale per lottare sui due fronti?
«Certo che ce l’ha. Ed è importante andare avanti nelle coppe, perché la vetrina internazionale fa crescere come immagine. E poi le cinque sostituzioni danno la possibilità, a tutti i componenti della rosa, di essere utili e importanti allo stesso livello dei big. E questa cosa va sfruttata in Europa League».

Può essere l’anno del Napoli e del ritorno al Sud dello scudetto?
«Spalletti ha lottato per lo scudetto a Roma, lo ha sfiorato, non c’è riuscito ma conosce gli ambienti caldi, dove basta poco per far scattare la scintilla dell’entusiasmo anticipato. È bello vedere le scene dei tifosi fuori all’hotel prima di Salernitana-Napoli ma il traguardo è lontano. Ma Luciano lo sa, sa quello che deve essere fatto. Voglio essere scaramantico e non dire altro...».

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