Napoli, lo scudetto e le promesse che hanno stufato

di Marilicia Salvia
Martedì 8 Ottobre 2019, 08:00
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Avvertenza per i solomaglisti: in queste righe si parla di Sarri. Sì, del Rinnegato che detesteremo per sempre, come un fidanzato che ci ha mollato sull'altare. Ma che domenica ha ottenuto quello che voleva, nel modo esatto in cui lo voleva, costringendo alla conversione anche i suoi ultimi detrattori. Vittoria e bel gioco, ed è inutile insistere sul tasto della sua straordinaria rosa, della squadra «di un altro pianeta» perché questi, ci dispiace per Conte, sono ragionamenti da perdenti. Una bella, importante rosa ce l'abbiamo pure noi. Calciatori magari non straordinari ma forti, innesti di valore. E contro la squadra «di un altro pianeta» nell'ultima sera di agosto abbiamo recuperato tre gol, e se alla fine hanno vinto loro è perché gliela abbiamo regalata noi. Poi però nel covo bianconero ha cominciato a vedersi, che ci piaccia o no, la mano del Rinnegato. Mentre qui noi abbiamo cominciato a perdere, a pareggiare. Ma soprattutto ad essere brutti. Ad essere tristi. Lenti, apatici, disorientati. Ed è questo, più della classifica, a farci male adesso, a costringerci ad affrontare questa benedetta pausa nazionale come equilibristi su un filo retto da una parte dalla rabbia e dall'altra dalla depressione.

Non vogliamo soffermarci sul Rinnegato? Non vogliamo correre il rischio di fargli anche indirettamente un complimento, lui che ci ha traditi in quel modo indegno, inimmaginabile? Non vogliamo parlare dello spettacolo dei 24 tocchi e del rinato Higuain, del rigenerato Dybala, segni inequivocabili della capacità dell'uomo in polo blu (che brutta quella polo blu) di coltivare e valorizzare e rilanciare talenti, come d'altronde ha dimostrato anche qui? Ok, chiudiamo gli occhi, immaginiamo di parlare di un allenatore qualunque e di una squadra e di uno stadio qualunque. Vedremo, in quello stadio, esplodere una cosa chiamata entusiasmo, vedremo tra i tifosi diffondersi la passione, l'orgoglio dell'appartenenza. Non si tratta solo di vincere, ma di divertirsi. Ora riapriamo gli occhi e diciamolo con franchezza: noi tifosi del Napoli non ci divertiamo più. Peggio: i giocatori del Napoli non si divertono più. La Grande Bellezza se n'è andata, come ha giustamente sottolineato ieri su questo giornale Marco Ciriello. Si è dissolta, liquefatta. Non è solo questione di risultati, anche se è indubbio che i risultati aiutano a stare meglio. Ma se prima di Torino avevamo qualche dubbio, dopo Torino ne siamo sicuri: la squadra che conoscevamo non c'è più, e quella che l'ha sostituita non ha un'anima, non ha identità; non si può chiamare squadra un gruppo di uomini che lanciano sguardi continui alla panchina chiedendo cosa devono fare, e invidiamo sinceramente mister Ancelotti che invece continua a parlare di scudetto. Se lo dice lui che di scudetti ne ha vinti tanti, e che ha vinto coppe e supercoppe, ci sarà sempre qualcuno pronto a dire che bisogna credergli, che bisogna dare tempo al tempo. Come se di tempo ne fosse passato poco: diciassette mesi dalla famosa fotografia alla James Bond, due ritiri a Dimaro, un fiume di promesse.

Mancano ancora trentuno giornate e per quanto ci riguarda l'unica promessa possibile è di non far mancare il sostegno a calciatori che abbiamo imparato ad amare, di provare nonostante tutto a riempire lo stadio per essere ancora e come sempre il famoso uomo in più. Ma mister Ancelotti, lui per favore eviti di trattarci come cagnolini ai quali mostrare lo zuccherino. Si arrabbi invece, dimostri che anche lui è deluso quanto noi, che ci tiene quanto noi a un ruolino di marcia esaltante, a far bella figura sui campi dello Stivale e anche in quelli europei, dove per qualche anno si è parlato di noi con stupore e rispetto. Sappiamo che ci riesce ad arrabbiarsi, lui leader calmo per definizione, anche se lo fa secondo criteri a noi poco comprensibili: per dire, ha incassato ostentando indifferenza la sconfitta con il Cagliari e i due pareggi senza reti e senza gloria, ma ha perso le staffe, alla vigilia della sfida con il Liverpool, davanti a presunti ritardi dei lavori ai bagni del San Paolo, con l'inutile risultato di esporre la città a una pessima e ingiustificata figuraccia internazionale. Ed ha alzato la voce dopo la vittoria con il Brescia, quando certo avevamo sofferto ma i tre punti erano stati portati a casa, mentre ha accolto senza batter sopracciglio la prestazione di Torino. Va bene difendere i giocatori e anche se stesso, va bene voler mettere la polvere sotto il tappeto, va bene evitare inutili processi pubblici, ma i tifosi qualcosa vorrebbero capire. Da leader calmo a caos calmo è un attimo. E nella calma, il caos può dissolversi. O diventare letale.
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