Bianchi, ritorno ad Agropoli:
«Fu quel coro il mio scudetto»

Bianchi, ritorno ad Agropoli: «Fu quel coro il mio scudetto»
di Francesco De Luca
Mercoledì 6 Luglio 2022, 07:15 - Ultimo agg. 7 Luglio, 07:21
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Nella trattoria del centro storico di Agropoli arrivano otto bambini. C'è una ragazzina orgogliosa di giocare a calcio, «da attaccante e portiere» precisa. Loro non hanno visto Ottavio Bianchi sulla panchina del grande Napoli e adesso sono là, in fila emozionati, per una foto e un autografo. L'allenatore del primo scudetto e della Coppa Uefa, l'uomo del Nord che ha vissuto a Napoli le fasi più intense della carriera, è arrivato in Cilento per raccontare la sua storia e parlare del futuro del calcio in un convegno organizzato nel Castello aragonese, dove è in corso la mostra Un secolo di azzurro dedicato alla Nazionale e organizzato da Antonio Ruggiero.

Bianchi, che nella parte finale della sua carriera dirigenziale è stato supervisore delle rappresentative giovanili, usa toni amari sulla crisi. «L'Italia è ormai la quarta fascia del calcio. Anche io, quando accendo la tv, vedo partite di altri campionati perché attirato dal gesto tecnico. Anni fa, durante una vacanza alle Seychelles, scoprii che trasmettono una partita al mese della serie A e due alla settimana della Premier. Ma ci rendiamo conto cosa vuol dire aver perso due spareggi per il Mondiale con nazionali così modeste?». Bianchi ricorda che il super manager Italo Allodi, l'inventore del corso di allenatore a Coverciano, ne aveva istituito un altro per dirigenti di settore giovanile. «Avrebbero dovuto creare figure fondamentali per lo sviluppo del calcio ma non interessavano ai club». Come risalire? «Puntando sui giovani ma puntandoci davvero. Grandi club, dall'Inghilterra all'Argentina, non hanno timore a schierare diciottenni che giocano e acquisiscono esperienza internazionale. In Italia non funziona così».

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All'inizio dell'85 fu Allodi ad offrire la panchina del Napoli a Bianchi. «Avevo giocato a Napoli cinque anni. Ero arrivato quasi bambino da Brescia e negli spogliatoi venivo coccolato dal magazziniere Masturzo che mi preparava lo zabaione.

Dissi all'inizio no ad Allodi perché a Napoli ero stato con i più grandi, da Sivori a Juliano, e non avevamo vinto. E lo dicevo anche sapendo che in quel Napoli c'era il più grande al mondo». Poi si convinse. E fu scudetto. «Misi l'elmetto dopo l'eliminazione dalla Coppa Uefa. C'era chi voleva la mia testa, rimandai la famiglia a Bergamo e cominciai la battaglia. Quel mio commento in tv nel giorno dello scudetto? Abbiamo fatto un buon lavoro: lo ricordo e lo ripeterei, perché i protagonisti sono i giocatori». Quelli che un anno dopo il trionfo dell'87 scrissero un comunicato contro di lui. «La gioia più grande degli anni di Napoli fu il coro Ottavio Ottavio che i tifosi mi dedicarono al San Paolo in occasione dell'ultima partita dell'88 contro la Sampdoria: si schierarono dalla mia parte. E, se ci penso, mi vengono ancora i brividi». In quella primavera vi fu un intervento del presidente federale Matarrese affinché il Napoli non chiedesse il deferimento dei suoi quattro nazionali firmatari del documento contro Bianchi perché altrimenti avrebbero saltato l'Europeo. Nel Napoli dello scudetto e della Coppa Uefa c'era Maradona e c'erano tanti napoletani. «Un valore aggiunto perché danno di più e trasmettono un sentimento all'interno dello spogliatoio. Mi dispiace che l'unico napoletano, Insigne, sia andato via». Il rimpianto per lo scudetto perso nella scorsa primavera è forte. «Il Napoli giocava il miglior calcio, peccato». Il legame con Napoli è rimasto forte come negli anni d'oro. «L'affetto e il rispetto dei napoletani sono due delle cose più belle della mia vita. Vincere non è stato facile, c'è voluta tanta dedizione al lavoro, così come mi aveva insegnato il primo maestro a Brescia. Era dura andare a Milano e Torino. Sudditanza psicologica? Dicevo ai miei di non fare fallo a venti metri dalla porta sennò fischiavano il rigore... Un big della squadra avversaria, una volta, disse all'arbitro: Stai attento, altrimenti qui non vieni più. Cosa fece quell'arbitro? Ammonì uno dei miei». Il sentimento napoletano di Bianchi emerse anche dopo un'amichevole dell'87 a Brescia e i cori contro l'allenatore - bresciano - e la squadra di Diego. «Dissi che non avrei mai più portato il Napoli a Brescia e mi trasferii con la famiglia a Bergamo Alta. Orgoglioso della mia Napoli». 

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