Roma-Napoli, la notte di Mertens:
Dries e quei sette minuti perfetti

Roma-Napoli, la notte di Mertens: Dries e quei sette minuti perfetti
di Marco Ciriello
Lunedì 22 Marzo 2021, 08:00
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Sette minuti del vecchio Dries Mertens bastano a schienare la Roma. L'attaccante belga dimostra di essere sempre fondamentale anche in una fase di recupero: segnando due gol. Uno su punizione, e uno di testa. Uno di ingegno e l'altro di disimpegno. In sette minuti si distende sulla partita, scrive il suo nome e regala al Napoli una grande speranza per la Champions League. Uscendo dalla sua normalità, Mertens, e riprendendosi il ruolo centrale di sposta-risultati, permette a Rino Gattuso di salvare il suo campionato, di vedere in panchina Lozano e immaginarsi partite con più alternative, ma soprattutto ristabilisce priorità e certezze in area di rigore e fuori. Prima con un destro a giro che passa di lato alla sgangherata barriera con uomo-coccodrillo sdraiato a terra, un calcio di punizione che racconta un piede ancora in grado di disegnare traiettorie perfette per far fischiare la rete difesa da Pau López, che si tuffa ma non può raggiungere il pallone che gira veloce vicino al palo e si infila nell'angolo alla sua sinistra.

Il secondo è un deposito in porta con la testa. Lorenzo Insigne, anche contro la Roma, tra i migliori in campo, taglia per Matteo Politano come un tempo tagliava per José Maria Callejon, e l'uruguagio d'animo ha l'altruismo e l'intelligenza di non girare di testa in porta il cross di Insigne avendo visto Lopez fuori dai pali ma di appoggiarlo sulla testa di Mertens, che beffardo lo indirizza in porta.

Sette minuti, due gol, un Mertens che lascia immaginare un finale di stagione con possibilità diverse, basterebbe questo per accontentarsi, dopo averlo visto smarrito, poi fuggiasco, dopo assente, infine protagonista. Una possibilità. Inaspettata, che equivale a una ricostruzione, almeno per il campionato del Napoli. Con un Mertens senza la porta ristretta cambiano molte cose, e ne hanno fatto le spese Fonseca e la sua Roma.

 

Una squadra stanca, assente, facile da dominare, tanto che il Napoli ha rischiato poco e giocato il giusto.

Mertens s'è goduto il suo momento di perfezione, sette lunghi minuti di tecnica e opportunismo, ripresa delle abitudini goleadore, generando nostalgie e innescando l'immaginazione. Come la ripresa di un discorso, con ovviamente, a cascata, i rimpianti per una stagione da montagne russe, con molta sfortuna, molti errori e troppi esperimenti.

Tra Mertens e gli altri, la differenza salta agli occhi, Mertens, quando è in forma, può segnare, scartare di lato, cadere e condizionare le partite, gli altri si faranno, forse. Anche in questa stagione da pendolare, tra Napoli e il Belgio, tra il campo e la panchina, tra gli errori e i gol, le prestazioni da assente e ritorni improvvisi, Mertens rimane l'oltre, quello che poi, rapace, quando serve, segna.

È, in queste partite, che viene la tentazione di invocarne la clonazione, perché si scorge quello scalino di differenza con gli altri, quello scarto che lo consegna alla cima, con l'aggiunta dell'empatia con tutta la corona emozionale napoletana. Una cerniera tra la disperazione e l'allegria, tra l'abisso e la vetta. L'ultima certezza assoluta possibile. Insomma, Mertens, è il sentimento superiore supportato dalle azioni (i gol), con l'aggiunta dell'inesplicabile, che chiama l'epos, congiungendolo al contesto. In una stagione che è una stretta d'epoca, con un ridimensionamento, Mertens è facilmente riconoscibile come l'eccelso che tiene in piedi il sogno, anche se è piccino, stropicciato e pure traballante. 

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