Mourinho o come si cambia:
la nuova vita dello Special One

Mourinho o come si cambia: la nuova vita dello Special One
di Marco Ciriello
Lunedì 25 Ottobre 2021, 07:00 - Ultimo agg. 17:10
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Da Special One a Special draw. José Mourinho o come si cambia dopo un sei a uno. A metà del primo tempo si è vista una Roma rallentata e attendista proprio quando il Napoli stava spingendo e sembrava sul punto di segnare e passare in vantaggio. Mourinho non è solo imbiancato, ingrassato e diventato buonissimo (che peccato che Gianni Mura non abbia visto questa trasformazione con la spoliazione di arroganza e durezza), ma deve anche accontentarsi del pareggio, tenerselo stretto, mentre imbastisce il solito set cinematografico, che comincia in settimana in conferenza stampa, con i monologhi in cui parla di sé in terza persona, le punte di sociologia, gli ammicchi, le piroette verbali, e l'accumulo di lingue ed esperienze. Si accolla le colpe della sconfitta norvegese subita dal Bodø/Glimt, dribbla di lato e va verso la società, difende i Friedkin entrando in tackle sulla vecchia società e i cerchi magici che ridono con le tasche piene e poi procede verso «la cicatrice emozionale degli infortuni» bordeggiando i versi di una canzone di Max Gazzè. È un Mourinho in trasformazione, che cambia pelle, manda in tribuna il senso di onnipotenza, e fa i conti con la normalità dei medi. Non deve più infrangere tabù, evocare demoni, ma contare quelli affidabili, tirare la cinghia e le linee e arrivare a gennaio, quando forse gli daranno dei rinforzi per allungargli la panchina e anche i sogni e il progetto. Per adesso sceglie il male minore, il pareggio, con un grande Roger Ibañez che tiene quasi fermo Victor Osimhen, nonostante un palo e una traversa colpiti.

La Roma di Mou ferma il Napoli a un prezzo fisico ed emotivo altissimo, arrestando la legge di Murphy che dopo il sei a uno al freddo sembrava averla consegnata alla settimana del gelo e del dolore. Mourinho fa in tempo ad abbracciare e la sua panchina e poi parlicchiare con Luciano Spalletti sua la migliore battuta sul clima teso romano e su Totti: «Speriamo di morire tutti dopo» , giocare con Lorenzo Insigne e inveire, cangureggiando, contro l'arbitro Massa, prendendosi due gialli e quindi finendo la partita dalla tribuna. È elettrico, e con una intenzionalità marcata.

Il cambio romano sembrava essere nella sua tattica aggressiva, una apertura alla spettacolarizzazione calcistica, senza perdere di vista la fase difensiva.

 

E sicuramente avrà un anno da montagne russe, con più avventure, ma vederlo faticare così tanto per tenere in equilibrio una partita, vederlo già dare i colpi di reni parolai dopo una settimana difficile preoccupa. L'uomo è esperto e capacissimo, ma l'esplicitazione verbale contro l'arbitraggio era teatro fisico per coprire le carenze di idee. Insomma, un Mou di lotta e minoranza, uno che deve concedere spazio e tirare molti sospiri di sollievo. Fiducia, appartenenza, e un po' di fortuna negli avvitamenti. Mentre il Napoli non riesce a seguire i suoi normali impeti d'assedio, mancando di quei cinismi che tornano utili in partite come queste. Dove Mourinho deve fare l'equilibrista e stando sul filo perde la sua sicurezza, perde la sua lucidità, e diventa un brillante tarantolato alla Oronzo Canà. Sempre cinema è, ma in un passaggio da quello recriminatorio e leaderistico alla Ken Loach a quello più divertente e folklòrico di Lino Banfi. E dove a Spalletti non è riuscito d'essere Nils Liedholm, per rimanere nell'ambito cinematografico, passando da Totti e la loro contrapposizione. Poi Mourinho è capace di dimenticare con nonchalance il suo inveire contro l'arbitraggio e commisurarsi al risultato positivo: in fondo è scena, gioco, recita.

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