Petagna è una istanza che viene dal passato, in un mondo calcistico che ha deciso di fare a meno di quelli come lui. Nei campi dei piccoli e dei falsi nueve il grosso e vero nueve fatica, non solo per la stazza, ma perché appare come un pensiero vecchio, al pari di un timpano di pasta che viene cucinato solo a richiesta. Un altro rischierebbe di morire di solitudine in panchina, invece, Petagna ride e spera, ride e aspetta, ride e poi finalmente entra. E quando lo fa si porta dietro un mondo lontano, tanto che pare applicare l'adagio moroteo: fare poco o niente, infatti, lui ci mette solo il corpo e la torsione del collo, prende posizione e svetta, si piazza sul lato e tanto per cambiare aspetta, e aspettando segna e risolve la partita a Luciano Spalletti e al Napoli.
È con i pensieri di ieri che si muovono certe partite, con gli uomini che sembrano passati, cedibili, lontani, che si fanno degli improvvisi salti in avanti, in questo caso più cinque punti sulla Juventus, prossima avversaria. Strappa chi deve guadagnarsi lo spazio, e si trascina dietro la squadra, su un campo stretto in tutti i sensi di spazi e uomini dove è sempre difficile vincere, e dove il Napoli ha faticato e preso molte paure. Ma poi è arrivato dal passato Petagna, con un sovraccarico testosteroideo e un bisogno di gol, aprendo un varco nella difesa di Ballardini, dopo appena due minuti di campo, giusto il tempo di portarsi in area, posizionarsi sulla sinistra, aspettare il cross di Mario Rui e metterci la testa, dopo una lieve torsione, il giusto per mandare fuori tempo i riflessi di Salvatore Sirigu e tagliare il fiato alle speranze del Genoa e della sua voglia di rivalsa.
E dopo il gol, anche Petagna si cholizza imitando Insigne che richiamava l'allenatore dell'Atletico, in una vetrinizzazione della virtù meno apparente, quella più indecente, solo per dire che lui e la squadra hanno coraggio.