Sarri tra De Laurentiis e il Napoli:
«Cari napoletani, ecco la mia verità»

Sarri tra De Laurentiis e il Napoli: «Cari napoletani, ecco la mia verità»
di Pino Taormina
Venerdì 7 Settembre 2018, 06:00 - Ultimo agg. 20:45
9 Minuti di Lettura
Inviato a Cobham

Su questi meravigliosi prati di velluto del centro sportivo del Chelsea, non c’è un solo filo d’erba che lui non abbia già imparato a conoscere. Eccolo Maurizio Sarri nel suo nuovo regno, l’uomo dei 91 punti, dei record e dello scudetto accarezzato e sfiorato. Ha già vinto 4 gare su 4 in Premier e anche qui sono praticamente tutti ai piedi del sarrismo che però, si sa come sono gli inglesi, hanno voluto già tramutare in Sarri-Ball. Il Chelsea è la sua nuova casa e lui già si sente a suo agio. D’altronde, è come se fosse in un castello incantato, pieno di meraviglie. E dal suo ufficio con terrazza che affaccia sui campi di Cobham e sulla campagna del Surrey, per la prima volta l’ex tecnico del Napoli racconta la sua verità sul suo addio, sui suoi rapporti con De Laurentiis e sul suo sogno rimasto nel cassetto. 

Sarri, com’è l’Italia vista da Londra?
«Così com’è vista da vicino, piena di problemi. Però quando siamo lontani, scatta un po’ di nostalgia e qualcosa ci manca sempre. Più di tutto il cibo anche se mi sto abituando alla carne e al salmone di qui. Non riesco però a trovare nessuno che fa il caffè come Tommaso (lo storico magazziniere del Napoli, ndi)».

E la serie A vista dal Chelsea?
«Ho seguito poco il campionato italiano in queste prime giornate, qualcosa del Napoli, del Milan, dell’Inter, della Juventus. Però qui è totalmente diverso: è una festa assoluta, è un piacere arrivare negli stadi e vedere i tifosi con le maglie diverse che prendono una birra assieme. Io firmo autografi ai tifosi della squadra avversaria a bordocampo, prima e dopo il match. Ci sono gare con tanta intensità, fisicità. Quello inglese è un calcio diverso da quello italiano, giocato in strutture straordinarie».

Le principali difficoltà a entrare nel mondo dorato del Chelsea?
«Conosco meno le squadre che affronto e gli avversari. Poi all’inizio farsi capire non è stato proprio così semplice...».

A proposito, tutti sospettano: Sarri ha imparato l’inglese troppo alla svelta. Quando ha iniziato a studiarlo?
«Trent’anni fa, quando ero in banca. Ma poi ho smesso per ventinove anni...».

Le capita ancora di ripensare a quel Fiorentina-Napoli?
«Mi capita di ripensarci. Per forza. Sarebbe stato il coronamento di una storia straordinaria, di un sogno mio, della squadra e di tutta la città. Ovvio che mi capita di rivivere qui momenti, in ogni istante. Qualcuno ha fatto ironia sulle mie parole, ma chi ha fatto sport sa che abbiamo perso lo scudetto in albergo».

Allora avrà ancora mal di pancia per quell’Inter-Juve?
«Sì. Perché quello che è poi successo il giorno dopo è la conseguenza di quella partita».

Ancelotti può riuscire dove non è riuscito lei?
«Lo spero per la città, per i tifosi. Napoli è una città straordinaria, merita di vincere lo scudetto. Io da tifoso del Napoli sono contento che sia Carlo ora a fare l’allenatore perché non solo ha vinto ovunque è stato, ma si è fatto voler sempre bene da tutti. Vuol dire che le qualità umane e professionali sono straordinarie».

Più difficile essere l’erede di Sarri o l’erede di Conte?
«Io non ho vinto nulla al Napoli. Conte invece qui ha vinto ed è difficile prendere il suo posto».

Perché non è più l’allenatore del Napoli?
«Ancora non lo so. Bisogna chiederlo alla società. Ma ora ho il Chelsea, e sono felice. C’erano dei motivi per cui volevo rimanere al Napoli e c’erano dei motivi per cui avevo delle perplessità. Il contratto che ha voluto il presidente prevedeva una clausola rescissoria con scadenza 31 maggio e invece il 21 maggio hanno fatto il contratto ad Ancelotti».

Come ha saputo del suo ingaggio?
«Ero a cena con Pompilio, il collaboratore di Giuntoli, con cui stavo discutendo proprio se restare o no. Abbiamo acceso la tv e abbiamo visto l’ingresso alla Filmauro di Ancelotti. Cosa ho pensato? Quello che pensavo prima, ma lo tengo per me».
 
Però De Laurentiis sostiene che era giusto farlo, perché lei per mesi ha messo in dubbio la sua permanenza al Napoli nonostante il contratto.
«Allora perché ha voluto la clausola nel mio contratto? L’ha imposta lui, era a conoscenza».

Vuole dirgli qualcosa che non è riuscito a dirgli?
«Gli sono grato perché mi ha fatto allenare la squadra che ho nel cuore, se sono qui al Chelsea è perché ho allenato il Napoli. Per il resto il De Laurentiis a cui voglio bene è sicuramente il figlio Eduardo».

Perché pensa che ci sia tanto astio nei suoi confronti da parte di De Laurentiis, esattamente il contrario rispetto all’amore che la tifoseria prova nei suoi confronti?
«Forse gli manco. Ma rispondo così in maniera ironica perché preferisco non rispondere... Però non mi preoccupo, mi dispiacerebbe eventualmente dell’astio di mio padre».

A proposito, cosa ha detto papà Amerigo quando ha saputo che veniva a Londra?
«Vai, è la cosa giusta. Però mi ha chiesto il favore di smettere di fumare almeno qui».

Non mi pare che lo stia ascoltando, però.
«Ma è l’unico che per cinque minuti mi fa traballare nelle mie convinzioni».

Le hanno fatto i conti in tasca da queste parti; per le sigarette spende un bel po’ di soldi.
«Però io faccio approvvigionamento in Italia dove pago un terzo di quello che pagherei qui».

Higuain a Napoli è considerato un traditore, ma per lei è come un figlio. Che voleva pure a Londra. Cosa aveva di speciale?
«Era un campione affermato e con me, che arrivavo dall’Empoli dove ero una specie di signor nessuno, si è messo senza esitazione e con semplicità a disposizione: non è vero che ha tradito Napoli, ha voluto lasciare Napoli perché il presidente del Napoli era De Laurentiis».

Cosa è il Sarri Ball?
«È bello, suona bene e mi diverte... È il modo che qui in Inghilterra hanno di descrivere la mia filosofia di gioco».

Suona bene pure sarrismo, comandante...
«Mi è sempre piaciuto essere chiamato così, perché mi faceva sentire il rappresentante di Napoli. Mi pesava anche, perché sapevo cosa Napoli voleva da me».

Il primo Sarri ad avere a che fare con un inglese fu suo nonno durante la seconda guerra mondiale, vero?
«Si chiamava Goffredo, recuperò dei piloti Usa abbattuti in Val d’Arno, era un partigiano. Li nascose e li consegnò poi a dei soldati inglesi quando arrivarono dalla nostre parti. Rischiò la vita ma era fiero di quello che aveva fatto».

Con chi dovrà fare i conti in Premier il suo Chelsea?
«Il Manchester City è al terzo anno con Guardiola e può ambire non solo a vincere di nuovo il campionato ma anche la Champions. E poi c’è il Liverpool che ha avuto una grande evoluzione con Klopp e credo che lotterà fino alla fine per il titolo inglese».

A proposito, è uno degli avversari del Napoli nel girone di Champions.
«Sempre sfortunati nel sorteggio... Prima il Manchester City, poi il Real Madrid... Adesso Psg e Liverpool».

Ha avuto paura di non poter venire qui ad allenare a un certo punto dell’estate?
«La paura è per altre cose. Però a un certo punto ho temuto che ci fosse accanimento nei mie confronti».

Perché come a Napoli, anche qui a Londra ha deciso di vivere lontano dalla città?
«Perché son qui per lavorare e non posso sprecare tempo per spostarmi. Non vivo volontariamente lontano dalla città, io vivo volontariamente vicino al centro sportivo».

Si sente ancora con qualche giocatore del Napoli?
«Con qualcuno sì. Ma senza parlare del Napoli, non sarebbe giusto. Ma solo dei propri obiettivi personali».

E con Ancelotti?
«Ci siamo scambiati dei cordiali messaggi di in bocca al lupo prima dell’inizio della stagione».

Ma almeno a Londra una passeggiata l’ha fatta?
«Dopo la partita con l’Arsenal mi sono fermato al centro. Ma i tifosi napoletani non mi hanno fatto fare un passo. Una grande soddisfazione perché non mi hanno dimenticato».

Dice Mancini, ma lo hanno detto anche altri ex ct come Ventura, Conte e Prandelli, che il guaio della Nazionale sono i pochi italiani in serie A. Che ne pensa?
«Sono allenatori che hanno allenato per anni e anni in serie A quindi stanno parlando anche di loro stessi. Vuol dire che è il sistema serie A che rende difficile tutto. È una questione di mentalità. Ma non credo che la presenza di stranieri in Italia sia superiore a quella degli altri campionati, sicuramente sono meno che qui in Premier. A tutti noi piacerebbe vedere, per esempio, un Napoli non solo pieno di italiani ma di napoletani, ma il calcio va in un’altra direzione».

A proposito, Mancini lo ha più rivisto?
«Sì, quello che è successo tra di noi è stata una litigata da campo. Sono volate parole che non dovevano volare, colpa della tensione. Ma ora è tutto da parte, ci siamo ampiamente chiariti. Ora spero che riporti l’Italia in alto».

Ciro, il suo cane adottato a Varcaturo, come si trova nella campagna inglese?
«È arrivato da pochi giorni, e durante il volo è stato un gran signore. Ora vivo in una villa con un parco enorme, e mi pare che non abbia molto di cui lamentarsi. Credo che si sia ambientato piuttosto bene».

Primo in Premier col Chelsea a punteggio pieno: ma non doveva metterci tre mesi per far vedere la sua mano?
«Ho la fortuna di avere un grande gruppo. A rate, ho parlato con i giocatori, visto che per il Mondiale gli ultimi sono arrivati nella settimana prima dell’esordio con l’Huddersfield. Ma il merito di questo rendimento è il loro, perché sono giocatori eccezionali. Con l’età, ho capito che una delle discriminanti che fanno il campione sono la disponibilità e l’umiltà».

Che immagine porta con sé di Napoli?
«Quella dell’ultima giornata, con lo stadio intero che mi fa festa, nonostante la delusione e l’amarezza per non essere riusciti a conquistare lo scudetto. Ogni volta che ci ripenso mi vengono i brividi».

I ricordi più dolci dei suoi tre anni napoletani?
«Nulla è stato più bello che vincere allo Juventus Stadium. Una notte unica. A livello umano l’amore di ogni giorno dei napoletani nei miei confronti».

E i momenti da dimenticare?
«Le parole di De Laurentiis al Bernabeu dopo la gara con il Real Madrid».

Snobberà col Chelsea l’Europa League come ha fatto col Napoli?
«Mai snobbato, ho sbagliato solo una partita, quella di andata con il Lipsia, che ci è costata la qualificazione. Ma era obbligatorio fare tutti quei cambi perché il sogno del gruppo e della città era lo scudetto. Poi al ritorno ci siamo riscattati. Sbagliare non vuol dire snobbare».

È riuscito a dire addio alla squadra?
«No, è successo tutto in fretta. Però lo voglio fare adesso, da qui. E dico: “Siete dei ragazzi straordinari, continuate così perché ce la potete fare a conquistare quel sogno che abbiamo sfiorato”».

Ronaldo ha aumentato le distanze della Juve dal Napoli e dalle altre?
«A livello teorico sì, ma poi c’è di mezzo il campo. Bisogna vedere il suo adattamento al calcio italiano e capire se gli altri calciatori della Juventus si manterranno agli stessi livelli degli ultimi anni».

Tornerà ad allenare il Napoli un giorno?
«Lo spero. Può essere l’obiettivo concludere la carriera al Napoli. Ma prima voglio rimanere al Chelsea, in questo splendido club, ancora per tantissimo tempo. Qui è tutto stupendo, non c’è nulla che non vada bene. Un sogno allenare questo club».
© RIPRODUZIONE RISERVATA