Napoli, l'imperativo categorico
e il peccato di un punto soltanto

Napoli, l'imperativo categorico e il peccato di un punto soltanto
di Anna Trieste
Lunedì 28 Ottobre 2019, 12:00
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Qualcuno, dopo la partita di ieri a Ferrara, dirà che nel calcio tre sono i risultati possibili e che al momento del fischio di inizio, al di là dei valori espressi sulla carta, per entrambe le squadre in campo ci sono uguali possibilità di terminare il match con una vittoria, un pareggio o una sconfitta. Bene, questa sacrosantissima verità che nessuno, figuriamoci chi scrive, si permetterebbe mai di contestare vale, valeva e varrà sempre e per tutti. Tranne che per il Napoli ieri pomeriggio.

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Dopo i pareggi in vetta alla classifica di Inter e Juve, infatti, ieri per gli azzurri c'era soltanto un risultato da inseguire e raggiungere: la vittoria. Per approfittare dell'inattesa frenata delle prime della classe, accorciare con esse il distacco e provare a rientrare finalmente nella corsa scudetto. E invece il Napoli che ha fatto? Ha pareggiato. Certo, considerato che Petagna ha preso un palo, che Malcuit si è infortunato gravemente e che Ospina ha fatto un vero e proprio miracolo sulla goal line, gli azzurri potevano anche perdere ma la verità è che ieri il Napoli doveva vincere. E basta.
 
 

Era una sorta di imperativo kantiano. Un dovere morale, categorico. Qualcosa che non contempla la presenza della volontà. E a nulla serve pensare con fine consolatorio al rigore non dato al Napoli o al gol di Milik che su quello stesso campo due anni fa si giocò il ginocchio. Ieri, a prescindere da tutto e a qualsiasi costo, il Napoli doveva vincere. Per dimostrare a se stesso e agli altri che il campionato non è una cosa a due tra settentrionali variamente strisciati. Trovare su un piatto d'argento tre punti e prenderne soltanto uno non è onestà o misura. È sciupo. È solo nu peccato e Dio!
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