Stanislav Lobotka, l'intervista esclusiva: «Io, regista della favola azzurra»

«Spalletti mi ha dato fiducia ma non è mai felice e mi piace»

Stanislav Lobotka
Stanislav Lobotka
di Pino Taormina
Mercoledì 15 Febbraio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 16 Febbraio, 07:46
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Se è vero, come recitava Dante, che è "l'amor che move il sole e l'altre stelle" nel Napoli a "mover" ogni cosa c'è uno slovacco dai piedi educatissimi e una completezza totale, capace di dare una spinta nel gioco che nessuno si aspettava. Stanislav Lobotka non è solo bellezza e tocco, rapidità e fantasia ma è anche denti che sanno masticare il pane duro. «Tutto passa per la mente. È la mia tranquillità la vera forza». È un play formidabile, il più moderno tra i registi antichi con i ritmi di Xavi e la maestosa sapienza di Iniesta. Semplicemente meraviglioso.

Lobotka, le piacciono questi accostamenti?
«Certo, sono belli e mi inorgogliscono. Xavi e Iniesta sono due talenti che ho sempre ammirato anche perché, loro come me, hanno sempre dato l'impressione di giocare per i compagni, di voler dare un aiuto per far vincere la squadra. Perché ogni giocata deve avere come scopo portare al gol».

Una metamorfosi notevole da quando è arrivato tre anni fa, non trova?
«Non ho avuto, all'inizio, solo qualche problema fisico. In realtà è la fiducia in me stesso che è mancata. Ho provato a migliorarmi ma ho dovuto fare i conti con il fatto che non avevo continuità in campo. E come si migliora se poi non hai spazio in una partita? Ho aspettato che arrivasse il mio turno e ho anche lottato per avere delle altre possibilità, perché non mi sono mai arreso. Ma devo dire che è stato un periodo complicato e le difficoltà di quei momenti non sono state poche perché non giocavo, non trovavo il ritmo e la salute mentale. E la strada giusta non è stata semplice da trovare. E l'ho trovata solo con l'arrivo di Spalletti».

Da Gattuso a Spalletti cosa è, quindi, scattato?
«L'ingrediente fondamentale per riuscire nella vita è sentire la fiducia di chi ti sta attorno. Ecco, quando è arrivato Spalletti al Napoli ho avvertito che le cose erano cambiate, che era arrivato il mio momento. L'ho sentito parlare di bel calcio, di gioco di squadra ed era proprio il mio modo di intendere il calcio. È stato l'allenatore il fattore mentale fondamentale per la mia svolta».

Come si sta con 15 punti di vantaggio sulla seconda in classifica?
«Come posso nascondere che si sta una favola? È bello stare così in alto, ma non siamo ancora blindati. Non è finita con 16 partite ancora da giocare: non sono poche, sono tantissime. Perché potremmo anche perdere prima o poi anche se noi speriamo di non perdere mai più. Noi dobbiamo continuare a scendere in campo senza pensare di essere così in alto. E alla fine spero che lo scudetto lo vinciamo noi».

Ma lei, al posto di un calciatore dell'Inter o del Milan, come si sentirebbe?
«Beh, non sarei certo di buon umore a inseguire a questa distanza dalla vetta e con una capolista che non perde un colpo... Ho l'impressione che quelli dietro di noi stiano già pensando a come ottenere il piazzamento alla prossima Champions. Ma forse la mia è solo una speranza. In ogni caso, nessuno si illuda che possa esserci un nostro calo di concentrazione: non ci sarà fino a quando non sarà finita».

Senta, ma lei gioca sempre. Ma ogni tanto si stanca?
«Sì, nella prima fase della stagione quando scendevamo in campo ogni tre giorni mi capitava di sentire un po' di stanchezza. Era una fase molto impegnativa ma poi appena messo piede in campo mi passava ogni cosa».

Cosa ha quest'anno il Napoli che non c'era un anno fa?
«Anche l'anno scorso siamo partiti bene ma certi infortuni ci hanno complicato la strada e non poco.

Non so cosa sarebbe successo se non ne avessimo avuto così tanti. Ma sia ben chiaro: avremmo voluto vincere lo scudetto anche un anno fa. Ora quello che conta è continuare ad avere la rosa sempre a disposizione perché questo è uno dei fattori fondamentali per arrivare al grande traguardo...»

C'è una partita in cui Lobotka avrebbe voluto fare i complimenti a Lobotka?
«Non penso ci sia stata una mia migliore prestazione personale. Ma se ripenso a certe partite come quella con l'Ajax ad Amsterdam o quelle al Maradona con il Liverpool e la Juventus bisogna ammettere che siamo stati una squadra praticamente perfetta. Sono cresciuto sempre pensando in questa maniera, con il noi che deve venire prima dell'io. Penso agli altri, a vincere, poi viene la mia prova».

Vincete e date spettacolo: c'è un binomio migliore?
«È importante essere anche belli in campo, la bellezza è una componente importante di questo gioco: se vinci e sei bello i tifosi sono ancor più felici. E noi vogliamo fare di tutto per rendere felici i nostri straordinari tifosi».

Il suo connazionale Hamsik sa come ci resterà male se sarà lei lo slovacco a vincere lo scudetto a Napoli...
«Credo che invece, se dovessimo centrare il traguardo che è ancora lontano, lui sarebbe uno dei più felici. È stato per anni il capitano qui e so che lui è arrivato tante volte solo a sfiorarlo lo scudetto. Quando c'era lui, la squadra era forte: non so se ha detto qualcosa a Giuntoli per farmi prendere, so che il direttore per mesi ha cercato di portarmi qui al Napoli».

Tra due giorni c'è il Sassuolo. La Champions può attendere?
«Non abbiamo nessuna voglia di pensare già all'Eintracht. Il Sassuolo è una squadra piena zeppa di qualità. Hanno tanti giocatori di ottimo livello e le partite con il Milan e l'Atalanta sono la prova di quello che dico. Dobbiamo essere concentrati. Ma lo saremo. Poi alla trasferta in Germania inizieremo a pensare già nel viaggio di ritorno da Reggio Emilia. Ma solo dopo il 90'».

Ma ci pensate: voi che questa estate eravate snobbati da tutti, siete tra i favoriti alla vittoria della Champions?
«Vero, ne abbiamo fatta di strada. Prima della stagione nessuno credeva in noi, eravamo soli ma la cosa non ci ha mai turbato. Anzi. Ne abbiamo fatto una forza. In Champions nessuno pensava potessimo andare così bene ma abbiamo fatto belle gare e abbiamo mostrato un bel calcio. I complimenti che ci sono arrivati con le vittoria europee sono stati importanti».

Chi è Luciano Spalletti?
«Non è mai felice. Possiamo fare qualsiasi tipo di prestazione, possiamo essere primi in classifica ma lui viene e ci dice che la prossima gara deve essere migliore di quella appena finita. Mi piace che lui dica sempre che dobbiamo giocare a calcio, che ci tenga sempre concentrati sugli obiettivi, che si faccia vedere insoddisfatto anche quando le cose vanno bene. Non staremmo qui senza di lui, senza i suoi richiami a stare sempre concentrati, a non abbassare la guardia. Ogni partita, dice, deve essere migliore di quella prima».

A parte Spalletti, da chi vorrebbe essere allenato?
«Faccio un nome facile: Guardiola. Piace a tutti: il suo modo di interpretare il calcio è unico, quello che fa vedere nel City è straordinario. E lo è da tempo».

Come si sente da ago della bilancia del gioco azzurro?
«Mi fa piacere che in campo tutti mi cerchino, che sanno di poter contare su di me. Io penso sempre a fare il meglio per loro. Sia quando siamo in vantaggio che quando la gara si complica. Cerco sempre di trovare spazi per loro, con i movimenti che proviamo in allenamento per trovare condizioni migliore per andare a segnare».

Per tutti gli allenatori avversari la parola d'ordine è: fermiamo Lobotka. Ma nessuno ci riesce. Perché?
«Ho incontrato avversari di livello e Amrabat in campionato è quello che più mi ha fatto soffrire. Come Thiago Alcantara che, peraltro, somigliandomi pure fisicamente, cercava sempre di seguirmi senza lasciarmi spazio. Però, lo ammetto: so che gli avversari mi guardano in modo diverso rispetto al passato. Non sto mai da solo, c'è sempre qualcuno che mi affronta: ma io cerco di fare sempre le stesse cose anche quando mi stanno addosso, non è che cambio modo di giocare anche se mi marcano in maniera più stretta».

Ma nell'estate dei malumori, tra di voi c'è stato un patto per vincere?
«Ad essere onesti? No. In quei giorni abbiamo pensato che la delusione era eccessiva: erano andati via giocatori importanti ma ne erano arrivati di altrettanto importanti anche se magari non erano conosciuti. Ovvio, è stato un momento difficile dove nessuno si aspettava nulla da noi, né come qualità di gioco che come obiettivi da poter raggiungere. Però in ritiro ci siamo allenati sempre bene e abbiamo scoperto di avere la qualità per poter fare un buon campionato. Nessuno credeva in noi e questo ci è servito a crescere senza pressioni».

C'è un momento in cui nasce il Napoli degli invicibili?
«Non lo so se siamo invincibili. Sicuramente non ci sentiamo invincibili. La forza è nel ragionare partita dopo partita anche se fino all'Inter abbiamo realizzato una striscia molto positiva. Ma noi non guardiamo mai oltre alla prossima partita e non ci voltiamo mai indietro a guardare quello che è successo prima».

Che campionato è la serie A?
«Rispetto agli altri campionati, sono gli arbitri che fanno la differenza nelle interpretazioni dei momenti di gioco. Per questo altrove il gioco è più veloce, ma anche qui è molto migliorato: anche quando vedo le altre partite della serie A mi sembrano più veloci».

Da ragazzo vedeva il calcio italiano?
«Mica solo la serie A, qualsiasi partita. In particolare da piccolo ero ammirato dal Milan, quello di Kakà e Shevchenko, quello delle due finali con il Liverpool. Ma non ero tifoso rossonero...».

Il suo primo ricordo col pallone?
«A sette anni, in strada, davanti casa. Ma non solo quello da calcio. Mica avevamo gli smartphone o i videogiochi di adesso. E ogni occasione era quella giusta per poter stare insieme agli amici e quindi si giocava a calcio, ma anche a basket e a hockey. E pure a tennis. Qualsiasi partita andava bene. Fino a quando trovai qualcuno che mi disse che ero bravino con i piedi e da quel momento ho pensato solo a quello».

Ha un'accademia per bambini a Trencin.
«Quando arrivai all'Ajax a 19 anni non sapevo parlare bene in inglese e dissi this is my sen... Dove sen è sogno in slovacco. E così ho voluto chiamare la mia scuola calcio, perché quella frase mi è rimasta dentro».

I video dei festeggiamenti per gli scudetti del 1987 e del 1990 glieli hanno fatti vedere?
«Sì, certo. E mi fanno immaginare quello che potrebbe succedere... Ma la strada è ancora lunga e in salita. Napoli mi piace anche non esco molto da casa (vive a pochi chilometri dal centro tecnico, ndr). Ma quando vedo i tifosi pazzi di gioia per quello che stiamo facendo sono felice: trasmettono amore puro, come pochi altri».

Trovo un difetto: segna poco, nessuno è perfetto.
«Vero, faccio pochi gol. Ma non è importante fare gol, sono felice se li fanno gli altri. E con quei gol mi fanno vincere e mi avvicinano ai traguardi per cui ogni giorno diamo il massimo in allenamento».

Lei è uno dei pochi ad aver vinto un campionato.
«Sì, in Slovacchia. Ma so che qui sarebbe diverso adesso, perché il campionato italiano è diverso. Sono altri calciatori che possono spiegare a me come si vince. Poi, magari, il prossimo anno, potrei spiegarlo anche io». 

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