Dopo una vittoria come quella di ieri a Torino, con quattro gol di scarto, i tifosi di nuovo al seguito e la porta di Meret oggettivamente immacolata come la mugliera del santo del giorno, Giuseppe, si potrebbe parlare di qualunque cosa. Del primo gol di Osimhen che arriva su un calcio d'angolo lungo dopo uno brutto battuto corto. O del gol di Kvaratskheila che arriva su rigore procurato proprio da Kvaratskheila il quale, fermato con le brutte mentre dopo aver stoppato di petto un pallone provava a tirarlo in porta, va a prendersi la scena e con essa il dischetto e tira preciso preciso alle spalle del portiere.
Ma si potrebbe anche parlare, e se ne avrebbe ben donde, del terzo gol, segnato sempre da Osimhen. Non solo e non tanto per il fatto che ormai Victor ha abbattuto la legge di gravità e vola, vola come una farfalla e punge come un'ape quanto perché per fargli fare questo gol tutta la squadra si è messa a disegnare calcio con Kvaratskheila che alla fine ha messo Olivera nelle migliori condizioni di servirgli una zeppola a forma di assist. O invece, e pure qui nessuno avrebbe nulla da eccepire, si potrebbe parlare di Ndombele che sempre indolente, sempre nato stanco, sempre compassato, entra in campo e stavolta quasi direttamente dalla panchina, servito da un georgiano assatanato, va pure a far gol.
Ma tutto scompare di fronte alla sfacciataggine e all'impudenza di Spalletti che nonostante il Milan alle porte e nonostante la diffida, mette ugualmente in campo contro una squadra di masti fravecatori come il Torino Osimhen e Kim. Come a dire: «A me non me ne fotte proprio, io gioco sempre per vincere». E ha vinto, no?
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