Udinese-Napoli, gli azzurri tornano nella terra promessa del Friuli

Da Meret a Reja e Zoff, quanti incroci con il Napoli

Alex Meret
Alex Meret
di Angelo Carotenuto
Mercoledì 3 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 18:21
4 Minuti di Lettura

Tra un «Ricomincio da tre» e uno «Scusate il ritardo», ora si infila un titolo di Paolo Sorrentino, «This must be the place», dev'essere questo il posto, Friuli, dove lavora come osservatore Andrea Carnevale, il piede del gol decisivo nel 10 maggio 87. Questo è il filo più spesso, ma non è l'unico a legare il Napoli a questa terra di frontiera. Qui c'è casa Alex Meret, lo scudetto nella sua Udine sarebbe il trionfo del calcolo delle improbabilità. Non doveva succedere qui, non doveva esserci lui. Se tutto fosse andato secondo le misteriose vie del calciomercato, Alex sarebbe dentro la maglia numero 1 dello Spezia, a giocarsi la salvezza. Il Napoli in estate s'era fatto venire dei dubbi, cercava Kepa, flirtava con Keylor Navas. Adesso si trova a un punto di distanza dal traguardo con un campione d'Europa che diventa il primo portiere italiano titolare a mettere le mani sullo scudetto, cinque anni dopo Buffon, e alla fine di una parentesi piena di Szczesny, Handanovic e Maignan. Così precoce, all'età di 26 anni, in serie A non ci riusciva più nessuno da quando Buffon ne aveva 25, era il 2003.

Oppure prendiamo Lucinico, a 35 km dallo stadio. Lo scudetto qui, a casa di Edy Reja, sarebbe la chiusura perfetta delle sequenze che il caso mette in fila, sotto gli occhi dell'uomo con cui tutto è cominciato, l'allenatore che portò il Napoli dalla C1 alla B e dalla B alla A.

De Laurentiis lo definì il suo Clint Eastwood, con quel calcio liberal-conservatore assai vicino al pensiero dell'uomo che aveva due facce rugose, col sigaro e senza (questa è di Sergio Leone). Avrebbe potuto paragonarlo anche al Mr Wolf di Quentin Tarantino, quello che risolve problemi. Reja ha fatto una carriera da aggiustatutto nel calcio italiano. Diciassette volte ha avuto un lavoro quando c'era da riparare una squadra, a Napoli venne per mettere cerotti sul cammino di Gian Piero Ventura, e si è trovato a battezzare Hamsik e Lavezzi, gli eroi della nuova generazione, i nati «senzamaradona».

Sono meno di 30 i km da Mariano del Friuli, la culla di Dino Zoff, portiere arrivato a Napoli nel 67 e venduto alla Juventus nel 72, quando aveva trent'anni e parevano abbastanza. A quaranta invece alzava la Coppa del mondo al Bernabéu. Lo scudetto a casa di Dino sarebbe il trionfo della memoria, un grazie a chi ha amato Napoli così lontana. «Non lasciarsi prendere dallo spirito della città è praticamente impossibile» ha scritto Zoff nelle sue memorie (Dura solo un attimo, la gloria, Mondadori). «Quando arrivai, pensai di trovarmi in un altrove assoluto. Ma non mi spaventai. Anzi, mi lasciai allagare da quei colori. Napoli mi ha insegnato molto». A restare concentrato, a reagire con personalità, a salutare la curva. «Capii che non c'era niente di strano. Che non siamo tutti uguali, che l'emotività della gente va rispettata». 

 

Friuli è pure Enzo Bearzot, la sua Aiello dista 30 km, ma con lui il rapporto è stato più complesso. Alla vigilia della Coppa 78 portò la nazionale al San Paolo, contro la Francia di Platini. Tirava aria di contestazione perché in azzurro non c'era mai stato spazio per Bruscolotti, pochissimo per Savoldi. E nel raggio di 40 km dallo stadio c'è Casarsa della Delizia, luogo dell'infanzia di Pier Paolo Pasolini, affascinato dal volto sghembo e dal corpo snodabile di Totò, amico di Eduardo, volevano fare un film insieme. Non aveva grossa simpatia per il tifo irrazionale e cieco dinanzi all'evidenza, un vizio che definiva napoletano, disconnesso dal mondo reale. Diceva: «Ho pena di quando vedo i tifosi in maschera, con i ciucciarelli». 

Video

Pochi mesi prima dell'acquisto di Savoldi, maggio 1975, attraverso le pagine del quotidiano «Il Mondo» scrive a Gennariello, immaginario ragazzino napoletano, e gli dice che «non mi dispiacerebbe tu fossi anche un po' sportivo, e che quindi fossi stretto di fianchi e solido di gamba», fedele all'idea che i napoletani dovessero restare sempre uguali, per sfuggire alla bruttezza del conformismo. «Preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana, preferisco l'ignoranza dei napoletani alle scuole della repubblica italiana, preferisco le scenette cui si può ancora assistere nei bassi alle scenette della televisione». Massimo Troisi aveva 22 anni. Ancora un po' e ci avrebbe invece invitato a strappare le catene degli stereotipi. Ci invitava a ricominciare da tre. Vediamo se Udine è davvero il posto. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA