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L'uomo sulla luna 50 anni dopo: domani parte la missione Artemis

di Renato Cantore
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 28 Agosto 2022, 09:00 - Ultimo agg. : 29 Agosto, 08:11
5 Minuti di Lettura

Sarà bene cominciare ad annotare una nuova data tra quelle destinate ad essere tra le più significative nei giorni che stiamo vivendo. Domani, alle 14,33 ora italiana, le 8,33 sulle coste della Florida, prenderà in via dal centro spaziale della Nasa a Cape Canaveral la missione Artemis, destinata a riportare gli uomini sulla Luna a distanza di oltre cinquant'anni dall'ultima passeggiata sul suolo lunare di un astronauta americano. Il razzo Space Launch System, un concentrato di tecnologia e potenza alto 98 metri per oltre 2.800 tonnellate di peso, spingerà la nuova navicella spaziale Orion per un viaggio di oltre due milioni di chilometri intorno e oltre la Luna. Il suo compito è quello di tracciare la strada che percorreranno le future missioni, in particolare l'Artemis 3, quella che imbarcherà il primo equipaggio per riprendere, tra due anni, quell'esplorazione del nostro pianeta bruscamente interrotta nel dicembre del 1972, quando l'amministrazione americana decise la fine del programma Apollo. Una decisione che fece andare su tutte le furie il capo del programma Apollo, l'italo-americano Rocco Petrone, il figlio di emigrati lucani di Sasso di Castalda diventato top manager della Nasa che, insieme a Wernher Von Braun, era stato tra i principali protagonisti della grande avventura voluta da Kennedy. Secondo Petrone fu un grave errore annullare i viaggi già programmati solo perché l'obiettivo di battere i sovietici nella conquista dello spazio poteva considerarsi ormai raggiunto, e l'opinione pubblica cominciava a mostrare sempre meno interesse per queste missioni. «La Luna spiegava non è tutta uguale. Ci sono pianure, montagne, crateri che noi dobbiamo esplorare perché ogni zona potrà darci nuove informazioni. In certe zone l'impatto dei meteoriti ha fatto risalire in superficie materiali antichissimi che potranno dirci molto sull'origine dell'universo fornendoci il codice per spiegare il mistero della presenza dell'uomo: insomma la Luna potrebbe essere per noi la nuova stele di Rosetta». 

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Petrone non fu ascoltato, e forse in quei giorni difficili si disse che prima possibile avrebbe lasciato la Nasa per dedicarsi ad altri progetti, visto che ormai da quelle parti nessuno aveva più voglia di investire nei sogni e nella scienza. Ora, non sappiamo se Bill Nelson, l'attuale amministratore della Nasa, i suoi uomini, e i dirigenti delle grandi agenzie spaziali che collaborano al progetto, compresa, con un ruolo di grande rilievo, l'italiana Asi, siano dei sognatori. Quel che possiamo dire con certezza è che Petrone aveva ragione quando spiegava che le grandi imprese sono possibili solo se alla tecnologia si aggiunge la voglia di avventura e di conoscenza e la capacità di sognare. «La Luna - disse in una intervista alla Bbc - è ancora lì che ci aspetta. Non so quando ci torneremo ma c'è ancora molto da scoprire, molto da fare. E il primo passo lontano dalla Terra non resterà certo l'ultimo. La Luna è solo il punto più vicino da raggiungere». Cinquant'anni dopo, gli obiettivi del progetto Artemis sembrano riecheggiare in modo impressionante queste parole, a cominciare dalle aree individuate per gli allunaggi, in zone tuttora sconosciute del nostro satellite come il misterioso polo sud, per finire all'idea di rendere permanente l'insediamento umano, in modo da realizzare una sorta di postazione avanzata per ulteriori imprese spaziali, magari verso Marte. Si ricomincia, dunque, da dove tutto era stato interrotto. Dall'isolotto di Merrit Island, davanti alle coste della Florida, dove sulla mitica rampa di lancio numero 39, la stessa da cui partirono le missioni Apollo, dal 17 agosto fa bella mostra di sé il razzo Space Launch System, pronto a spiccare il volo domani. Tutte le infrastrutture del cosiddetto Moonport, la base di partenza per la luna, sono, con gli opportuni aggiornamenti, quelle realizzate più di cinquant'anni fa da Petrone e dalla sua squadra di quasi ventimila tecnici e ingegneri: il grande Vehicle Assembly Building, l'edificio alto 160 metri dove viene assemblato il razzo, l'impressionante crawler, il cingolato che serve a trasportarlo sulle rampe di lancio, le cinque firing rooms con cinquecento postazioni ciascuna che rappresentano il cuore del centro di controllo, centro che dal febbraio scorso è intitolato proprio a lui, Rocco Petrone. Certo, la ricerca ha fatto nel frattempo passi da gigante. Il nuovo vettore, per esempio, pur essendo alto una ventina di metri meno del Saturno V, ha motori infinitamente più potenti; la navicella Orion è più spaziosa, e può ospitare fino a quattro astronauti; i computer di bordo sono certamente più performanti rispetto ai sistemi affidati a Neil Armstrong nel 1969. E nessuno oggi si sognerebbe di spedire nello spazio degli uomini con una probabilità di insuccesso del cinquanta per cento, come avveniva cinquant'anni fa. Ma, come per tutte le grandi imprese dell'umanità, la tecnologia non spiega tutto. 

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L'idea del viaggio verso la Luna, prima ancora che degli scienziati, è stata da sempre patrimonio di scrittori, poeti e sognatori. Da Ludovico Ariosto a Jules Verne in tanti hanno immaginato questo viaggio coi i mezzi di trasporto più fantasiosi, dal cavallo alato a un gigantesco proiettile sparato da un cannone. I grandi poeti, da Saffo fino a Leopardi e a Baudelaire, hanno scritto versi immortali. Per non parlare della letteratura di tutto il mondo e, in tempi più recenti, del cinema e della televisione. Ecco perché anche oggi, di fronte a questa ripartenza dopo cinquant'anni, sarebbe superfluo chiedersi ancora una volta (anche se le risposte sono molte e convincenti) perché vogliano andare sulla Luna. Lasciamo la risposta a Kennedy, il presidente-sognatore che per primo ha creduto in questo straordinario viaggio: «Perché la Luna è lì, e lì sono le nostre speranze per la conoscenza e la pace». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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