Babele Clubhouse tra sfoghi, passioni e lezioni di sciamani

Babele Clubhouse tra sfoghi, passioni e lezioni di sciamani
di Antonio Menna
Venerdì 19 Marzo 2021, 08:51
5 Minuti di Lettura

Nella room «Non ti sopporto più», Roberto si lamenta che in amore finisce sempre col fare il «crocerossino». Le donne ne approfittano: lo «utilizzano» e poi lo lasciano. Interviene Alessandra, la psicologa che ha organizzato la room: «A volte le storie finiscono, non è un male». Ma parla Stefano, altro esemplare di uomo ferito: «Arrivarci alla fine di queste storie in maniera non dolorosa». Molti sospiri, qualche silenzio. Ma poi interviene Chiara, perché qui, su Clubhouse, come al telefono, il silenzio non è consentito. Se stai zitto per più di dieci secondi arriva una voce a chiedere, e a chiedersi, se non sia caduta la linea. No, la linea c'è. Ma magari cambiamo stanza, che tutta questa infelicità non si regge.


C'è la room sui Cartoni animati. Clicco, entro, squilla una voce. È Mary, parla di quanto sia stata felice ieri che in una stanza è entrato Luca Ward. «Con quella voce, può dire tutto».

Interviene un po' stizzito un certo Celluzzi, che come un personaggio di Verdone, dice un sacco di cioè. Poi urla «Oh, la prof, devo stacca'», e tronca la discussione. Approfitto del parapiglia, ed esco anche io.


C'è una room che non posso perdermi: Giornalista Kasta. Trilla la voce di un certo Alan, che si lamenta delle Biopic dei giornalisti sui social. «Biografie imbarazzanti e surreali, vengono in Rete per replicare le cose che fanno fuori». Manuela, del Tg5, interviene per dire che rivendica il suo lavoro. Ma viene subito zittita: «Per voi della Kasta le modalità sono sempre le stesse, volete solo occupare i vari canali social». Parte una lamentazione corale sulla mancanza di visione, sull'alterigia, sui poteri forti. Quando Luigi dice che sui social uno vale uno, decido che è troppo e chiudo l'App. Scende finalmente il silenzio.


SOCIAL DELLE VOCI
Non so come sono finito su Clubhouse, questo nuovo curioso social delle voci. Un po' come tutti, credo. Ne ho sentito parlare, ho scaricato l'App (riservata solo agli iPhone), ho aperto un profilo. Poi sono rimasto in attesa: per cominciare a usarlo ci vuole un altro iscritto che ti mandi un invito. Passa un giorno e lo trovo da parte di un collega, Giovanni. Così posso partecipare. A cosa ancora non so. I primi passi sono quelli di tutti i social: costruire una rete di amici. Followers. Contatti. O come li si vuol chiamare. Gente che segui e che ti segue. Il risultato è che ti compare in una schermata una sorta di planning, l'elenco delle room in cui si chiacchiera, col tema e l'orario di inizio della discussione. Un vero palinsesto. Si forma man mano, probabilmente dentro un algoritmo che elabora scelte precedenti, i contatti che hai, e fissa una griglia di proposte, ora dopo ora. A quel punto non resta che cliccare sulla room e si è dentro. Ascolti voci. Non puoi parlare se gli speakers che hanno creato la stanza non ti fanno «salire». Se nessuno ti chiama in causa, devi solo ascoltare. Clubhouse costruisce soprattutto platee di udenti ed è tutto un gioco di cooptazione basato sull'esclusione/inclusione. Proprio come i club. Tutti vogliono starci perché è esclusivo. Ci vuole l'invito per esserci, ci vuole l'invito per parlare. Ma per lo più devi ascoltare. Cosa? Quello che dicono, dentro una chiacchiera interminabile, ipnotica, tuttologa, mille voci dal buio.


SPEGNERE
I temi sono infiniti, le lingue tutte quelle del mondo. Puoi saltellare da una stanza all'altra, costruirti uno zibaldone di chiacchiere oppure andarti a cercare il topic giusto. Ma si parla, non si scrive. Si ascolta, non si dibatte. Si attende il proprio turno disciplinatamente. Si potrebbe anche non parlare mai. Si può agitare una manina, come a scuola per chiedere permesso, ma se non meriti, non sali. E come sali, puoi scendere. È tutto verticale, qui, un salire e uno scendere. Ovviamente la cosa che si fa di più su Clubhouse è parlare di Clubhouse. Sui social si parla molto dei social. E si parla male di altri social. Su Clubhouse si critica Instagram. Su Instagram si critica Tiktok. Su Tiktok si critica Facebook (il social dei vecchi). Twitter non se lo fila più nessuno, nemmeno per la critica. Entro nella room di Clubhouse su quanto è bello Clubhouse a sento Mark che dice: «Qui non ci sono influencer, sapete perché? Perché non hanno argomenti, questo è il social degli argomenti». Scorro il palinsesto. Mi avventuro nei temi psicologici. «Riesci a unire passione e lavoro?», si chiedono Gabriele e Paola in una room.
Entro, inciampo in frasi motivazionali, lezioni di vita, esco subito. Mi infilo nella room di Carolina Celotti (Rinascita dalle ceneri, Cosa impari dalla tua caduta? Raccontaci la tua consapevolezza o datti il permesso di accogliere le vibrazioni positive della room), ma forse sbaglio qualcosa. Non sento vibrazioni e scappo. Finisco nella stanza di Samuele: abbiamo tutti un prezzo, è vero o falso? Vero, vero, me ne vado subito. Nevroticamente entro ed esco da tutte le stanze di questo strano hotel di voci che alla fine appaiono tutte uguali, mediate dal microfono del cellulare. «Le donne e il successo, a quale prezzo?». «Il potere delle buone abitudini, come resettare la mente». «Le Bio affinità, amicizie, amori, scopri tutto».


Tutti parlano di tutto. Non c'è più la parola scritta, non ci sono foto, non ci sono i video. Qui regna solo la voce. Ma la tentazione finale è quella di tapparsi le orecchie. Come le moltitudini abbracciano uomini soli, tutto questo parlare fa venire voglia di non sentire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA