A lezione da Steve Jobs: ecco i 14 comandamenti del guru Apple

Steve Jobs
Steve Jobs
di Andrea Andrei
Lunedì 19 Maggio 2014, 10:20 - Ultimo agg. 10:21
4 Minuti di Lettura
Come si d vita all’azienda pi ricca e potente del mondo? Come si fa a concepire dei prodotti in grado di modificare radicalmente non solo il proprio settore di riferimento, ma anche la quotidianità delle persone che li usano? Non è facile spiegare il genio. Anzi, probabilmente è impossibile. Ma l'esperimento compiuto da Walter Isaacson, giornalista, amministratore delegato dell’Aspen Institute nonché autore della biografia “Steve Jobs” (edita in Italia da Mondadori), anche se ardito, si è rivelato molto efficace: cercare di condensare il pensiero del guru di Apple in quattordici punti, come in una sorta di tavola dei comandamenti del business.



Nel suo “Lezioni di leadership” (Mondadori, 101 pagg., 12 euro), in maniera semplice e sintetica, in perfetto stile Jobs, Isaacson si è ispirato ai suoi colloqui con l’inventore della Mela per trarne una serie di insegnamenti e di principi applicabili direttamente al mondo delle aziende. Naturalmente poi ha condito queste massime con una serie di aneddoti che aiutano a inquadrare meglio, al di là dell’aspetto puramente professionale, l’uomo Steve Jobs, quello sì visionario e dalle idee rivoluzionarie, ma anche quello intrattabile delle sfuriate ai colleghi.



Se molti lo ricordano soprattutto nel suo celebre discorso ai neolaureati dell’università di Stanford, quando pronunciò la frase, ormai proverbiale, «Stay hungry, stay foolish» («Siate affamati, siate folli»), dietro a quell’indimenticabile massima si cela una concezione ben precisa di azienda e di prodotto. Insomma, la follia di Steve Jobs era assolutamente lucida, a volte ai limiti della maniacalità.



I DUE PUNTI CARDINALI

E nella sua forma mentis, racconta Isaacson, due erano i principi che costituivano il punto di partenza per creare qualsiasi cosa: concentrarsi e semplificare. Quindi meglio fare una cosa sola e farla bene che farne tante ma in maniera mediocre, che è poi la ragione per cui Apple ha una gamma di prodotti molto limitata. In secondo luogo, eliminare con fermezza tutto quello che può essere eliminato.



Capita spesso di accorgersi che ciò che si è scelto di togliere fosse in realtà superfluo e quindi, alla lunga, nocivo. Spassosissimo l’aneddoto, raccontato da Isaacson, di quando Jobs, durante una riunione con il team di programmazione di iDvd (software per masterizzare video), improvvisamente interruppe la spiegazione dei programmatori che gli proponevano un’interfaccia con varie finestre disegnando su una lavagna un semplice quadrato, e dicendo che l’applicazione sarebbe stata tutta lì, in una sola finestra. Se ne andò lasciando tutti a bocca asciutta e con una bella gatta da pelare. Ma anche in quel caso la sua fu un’idea vincente.



LA BANALITÀ DEL GENIO

Jobs era così, quasi banale nella sua semplicità. Infatti in quel Bignami della genialità che è il libro di Isaacson ci sono concetti che all’inizio possono sembrare scontati. Poi però, a vederne l'applicazione pratica in Apple, si capisce che si tratta di ingredienti fondamentali. È il caso di “Pensa ai prodotti prima che ai profitti” o “Attribuisci valore al prodotto”, o ancora “Coniuga discipline classiche e scientifiche” e “Mantieni la visione generale senza dimenticare i dettagli”.



Per non parlare di “Lavora con i migliori” e “Favorisci il faccia a faccia”: riesce difficile pensare come un personaggio con un carattere brusco come quello di Jobs potesse porre tanta attenzione alle persone. Amava circondarsi davvero dei migliori, anche se poi li maltrattava e li stressava. Aveva la capacità di “plasmare la realtà”, il che voleva dire spingere le persone a fare ciò che ritenevano impossibile. Spesso quelle persone ci riuscivano, ma ancora più spesso ne uscivano distrutte. Eppure è difficile trovare qualcuno dei collaboratori di Jobs che non sia stato felice di aver lavorato con lui. Perché il suo essere visionario, perfezionista e sempre avanti rispetto agli altri, faceva sentire chi gli era vicino un privilegiato.



Come Isaacson non smette di ripetere, «le vere lezioni di Jobs vanno tratte da quanto è riuscito a realizzare». Ma nel suo caso era abbastanza difficile scindere ciò che faceva da ciò che era, tanto che si potrebbe dire che Apple fosse una sorta di riflesso del suo fondatore. È per questo se oggi molti temono che sotto la guida di Tim Cook l'azienda abbia perso la sua spinta innovatrice. Anche perché Jobs era fondamentalmente un accentratore. Per cui non sorprende che fra i consigli dispensati dall'autore del libro ci sia anche “Diventa responsabile dell’intero processo”. È l'aspetto che più viene rimproverato all'azienda di Cupertino, ma anche ciò che ha fatto la sua fortuna: il cosiddetto “ecosistema Apple”. Un concetto che ha in poco tempo trasformato un marchio in una religione: appartenervi non vuol dire solo possedere dei gingilli tecnologici, ma aderire a una concezione di vita. Fra tutti i successi di Jobs questo è senz'altro il più clamoroso: l'aver trasformato i beni di consumo in oggetti di culto, l’aver associato a un brand un sistema di valori. Ovvero la massima espressione di fidelizzazione del cliente, nel senso più spirituale del termine. Semplice a dirsi, meno a farsi. Un po’ come l’iPod o l’iPhone.









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