Da grande voglio fare i videogame: viaggio nelle scuole per lavorare nell'industria videoludica

Da grande voglio fare i videogame: viaggio nelle scuole per lavorare nell'industria videoludica
di Andrea Andrei
Sabato 21 Novembre 2015, 01:56 - Ultimo agg. 5 Novembre, 11:42
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I videogame sono spesso la croce di molti genitori. Per cui cosa succede quando un figlio o una figlia esprimono il desiderio di trasformare quella passione in un lavoro? Cosa siano i videogiochi e come funzionino ormai lo sanno tutti. Basti pensare che, come registra Aesvi, solo in Italia ci si dedicano 29 milioni di persone. Ma cosa ci sia dietro a quel mondo è materia oscura per molti.



L'industria dei videogame a livello mondiale vale 92 miliardi di euro, più di quelle di cinema e musica messe insieme. È un'industria trasversale, composta non solo da programmatori e disegnatori, ma anche da professionisti della comunicazione e del marketing. L'Italia si è accorta con grande ritardo delle potenzialità del mondo videoludico, ma oggi i videogame, al pari del cinema e dell'arte in generale, stanno trovando posto anche all'interno di scuole e università. Nel nostro Paese ci sono diverse realtà, fra scuole professionali come la DigitalBros Game Academy di Milano, e atenei che hanno corsi o master dedicati, come il Politecnico di Milano e l'Università di Verona. Ma sono davvero utili? Possono essere un modo valido per riuscire a fare dei videogame un lavoro?



L'ACCADEMIA

L'Accademia Italiana Videogiochi (Aiv) ha sede a Roma. Esiste da diversi anni, ha più di cento studenti e organizza corsi dalla durata triennale in programmazione, grafica e pre-produzione. Per frequentare la scuola ci vogliono 5 mila euro all'anno. «Per iscriversi non c'è bisogno di avere competenze specifiche e basta essere maggiorenni - spiega Andrea De Dominici, che insegna Visual Development - Non è necessario essere informatici o ingegneri per imparare a realizzare un videogame, ci vuole solo un buon occhio e parecchia creatività. Ma non si può nemmeno pensare che per fare questo lavoro basti la passione e l'immaginazione. Ci vuole tanta pratica. Qui si insegna il mestiere». Un mestiere che però poi bisogna mettere a frutto. Ed è lì, è il caso di dire, che il gioco si fa duro. «Uno dei punti di forza dell'Aiv - sostiene De Dominici - è mettere in contatto gli studenti con aziende e laboratori di sviluppo».



Uno di questi è Forge Studios, piccolo team di quattro persone con base a Roma che collabora con importanti aziende internazionali (come la tedesca Crytek) e che ha messo le mani su grandi produzioni, come Ryse: Son of Rome. Tra i fondatori c'è Stefano Pinna, 32enne romano formatosi proprio all'Aiv. Proprio lui spiega che, come per molti settori al giorno d'oggi, anche in quello videoludico non basta un pezzo di carta per avere la strada spianata: «La scuola ti dà una base, ma l'esperienza è fondamentale. Le opportunità bisogna sapersele creare. Va accettato che il posto fisso non esiste e bisogna essere disposti a trasferirsi, anche lontano dall'Italia». Lui lo ha fatto, ed è stata una scelta che gli ha garantito il successo. «Finita l'Aiv ho realizzato bozze e progetti che ho diffuso online. Sono stato chiamato da una grande casa di sviluppo olandese, Streamline Studios. Lì facevo parte di un team di 60 ragazzi, di cui 8 erano italiani». E fra loro c'era anche uno dei suoi futuri colleghi di Forge Studios. «L'azienda attraversò un periodo di crisi e ci ritrovammo senza lavoro. Insieme a un altro ragazzo decidemmo di metterci in proprio e vincendo un bando di concorso aprimmo il nostro piccolo laboratorio, che si occupa di grafica. Molte grandi aziende tendono a esternalizzare per ottimizzare i costi, e in poco tempo ricevemmo le prime proposte di lavoro».



I videogame oggi non sono visti solo come una forma di intrattenimento, ma il mondo delle aziende sta imparando a sfruttarne anche altre potenzialità.



IL MERCATO

Lo dimostra il master di primo livello in Game design and management che partirà a gennaio all'università Luiss di Roma. «Non è solo un corso per creativi e per game designer, ma anche per imprenditori - spiega il co-direttore scientifico, Enrico Gandolfi - Serve ad acquisire competenze anche sulla “gamification”: i principi dei videogiochi si applicano a strumenti formativi per i dipendenti». Il master dura 300 ore, costa 6 mila euro più Iva ed è solo per laureati. «Gli sbocchi lavorativi non sono solo quelli legati all'industria videoludica ma anche risorse umane e marketing», precisa Gandolfi. Non si può dire che in Italia l'industria videoludica sia ancora una potenza, ma qualcosa si sta muovendo.



Ci sono oltre 100 studi di sviluppo, alcuni dei quali sono famosi, come Milestone e Digital Bros. Come spiegano Alessandro Mazzega e Samuele Perseo, della casa di sviluppo milanese Forge Reply, «Le scuole possono darti una preparazione di base, ma non basta. Chi vuole fare i videogame di mestiere deve creare qualcosa di suo, anche un gioco da tavolo, e poi proporsi. È fondamentale la forma mentis, l'iniziativa personale e il saper lavorare in squadra». Insomma, si direbbe che per fare un gioco l'importante è sapersi mettere in gioco.



andrea.andrei@ilmessaggero.it



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