Chicco Testa: «La sfida climatica si vince con mille miliardi di nuovi alberi. E le aziende devono diventare più sostenibili»

Chicco Testa: «La sfida climatica si vince con mille miliardi di nuovi alberi. E le aziende devono diventare più sostenibili»
di Francesco Malfetano
Mercoledì 20 Ottobre 2021, 14:29 - Ultimo agg. 22 Ottobre, 15:53
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Professor Testa, le faccio una provocazione. Patrick Moore, ambientalista della prima ora e direttore della CO2 Coalition, da alcuni contestato, in un suo intervento sulla stampa italiana ha sostenuto che l’anidride carbonica prodotta dalle aziende di tutto il mondo possa essere «benefica» perché «è ciò che si è creato per fotosintesi» e quindi ripristina «un equilibrio del ciclo globale del carbonio» e rende «la terra più verde». Cosa ne pensa?

«La posizione di Moore è tutt’altro che bislacca. Anzi, non è stata riportata completamente. Perché nella seconda parte dell’intervento sosteneva che una delle cose principali da fare oggi è piantare alberi che si nutrirebbero della CO2 in eccesso. Che è un po’ la posizione di tanti altri. In primis di Stefano Mancuso, dell’Università di Firenze, che sostiene sia necessario piantare mille miliardi di alberi per ricostruire il patrimonio forestale antecedente alla scoperta dell’agricoltura. Si tratta di approcci legittimi, che cercano di trasformare in un’opportunità quello che è un problema».

Un problema appunto. Ci spiega perché la CO2 lo è?

«Il pianeta gode, per fortuna, di un effetto serra naturale. La nostra atmosfera trattiene una parte del calore che entra dall’esterno, rendendo la Terra vivibile. L’inquinamento, e in particolare i cosiddetti gas serra o clima alteranti però, hanno spinto all’eccesso questa operazione portando al surriscaldamento globale. Ovvero al problema. La complessità però sta nel fatto che questo fenomeno è globale al contrario di altre tipologie di inquinamento che hanno carattere locale. La CO2 e i gas serra hanno concentrazioni uguali in Cina come in Italia, in Australia come in Norvegia. Qualsiasi tonnellata aggiuntiva rilasciata nell’atmosfera ha effetti in tutto il mondo. È quindi illusorio pensare di intervenire in Europa se la Cina continua ad aumentare il proprio impatto. E proprio per questo la strategia di riduzione elaborata dalla Ue è poco efficace. Prevede di intervenire principalmente sulle aziende dell’Unione con strategie di compensazione, ma noi pesiamo solo il 9% a livello mondiale».

Come funziona la compensazione?

«Noi dobbiamo agire, lo dice la Ue, sul principio della neutralità tecnologica. Cioè non importa quale tecnologia utilizzi, purché riduca i gas serra. E l’input, come qualsiasi buon padre di famiglia, è quello di incominciare dagli strumenti che costano meno pur attingendo a un ampio spettro di tecnologie nonostante una parte degli ambientalisti pensa si possano usare solo le fonti rinnovabili.

Tra queste tecnologie a disposizione c’è la compensazione, fatta a sua volta da due filoni. Il primo è la carbon sequestration, cioè la capacità di sequestrare la CO2 dove si forma e riutilizzarla, re-iniettandola nel sottosuolo. Lo fanno le industrie di gas esauriti per produrre l’idrogeno blu oppure impiegandola in piccole quantità nell’azienda alimentare».

E il secondo?

«È quello di cui parlavamo: piantare alberi perché assorbono la CO2 ed emettono ossigeno, oltre a raffreddare la temperatura terrestre, abbellire il paesaggio e trasformarsi in legname. Servono mille miliardi di alberi. Cioè considerando una popolazione di 10 miliardi di persone, dovremmo piantare circa 100 alberi a testa. Un obiettivo non proprio impensabile. Si tratterebbe di investire circa diecimila miliardi di dollari (stimando una media di 10 dollari ad albero), una cifra molto inferiore a quelle che investiamo oggi».

Qual è il ruolo delle aziende? Quali alternative hanno?

«Le aziende devono diventare più efficienti, consumare meno energia, sviluppare le rinnovabili e poi, man mano che si renderanno disponibili, utilizzare tecniche di carbon sequestration, piantare alberi o anche comprare Carbon Credit. Si tratta di crediti certificati dalla agenzie dell’Onu che attestano che un’impresa o anche un cittadino ha compensato la propria impronta carbonica, diminuendo quindi le emissioni. In Italia ci sono Pmi specializzate come la Carbon credits consulting (società in cui ha appena investito la Carbon Angels, società di cui Testa è tra i dirigenti; ndr) che lo fanno, ed è un’ottima strategia. Anche perché hanno il vantaggio di fare progetti in Asia, Africa o Sud America, e quindi offrire un’alternativa a tagliare e bruciare alberi a quelle popolazioni. Creano una ricchezza alternativa non basata sullo sfruttamento delle forestazioni».

Nei giorni scorsi si è molto parlato dell’Islanda, dove è stato attivato l’impianto di cattura dell’anidride carbonica più potente al mondo. E in Italia che si fa?

«Nella raffineria di Ravenna lo sta già facendo l’Eni, iniettando CO2 nei depositi di gas della Pianura padana. Ma è molto più utilizzata in Paesi più pragmatici e meno ideologici del nostro. L’Olanda ha appena stanziato 2 miliardi di euro di incentivi legati alla carbon sequestration e all’idrogeno blu. In Italia invece non ci sono incentivi statali».

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