Settembre 2021 è stato un mese importante nel mondo della comunicazione di marca con la pubblicazione in tutto il mondo dell'ultimo catalogo Ikea.
Allora il contesto era molto cambiato: da una parte i clienti si rivolgevano sempre più al web sia per informarsi che per acquistare, dall'altra il processo di digitalizzazione di Ikea era cresciuto e l'azienda svedese aveva migliorato le proprie app per rendere più facile la scoperta e l'acquisto di prodotti. Tutti questi processi subirono una rapida accelerazione dal lockdown. Ikea, del resto, è stata una delle ultime aziende a resistere nel mantenere una propria comunicazione commerciale cartacea. Fin dagli anni ‘10, la rapida ascesa del marketing digitale e dell'e-commerce ha fatto sì che le piattaforme online sembrassero il modo più conveniente ed efficiente per raggiungere i clienti. Con siti web, campagne email e social media che offrivano accesso immediato a milioni di persone, i cataloghi, più costosi da produrre e distribuire, iniziavano a sembrare obsoleti. Inoltre, i costi di stampa e spedizione erano considerati troppo elevati rispetto ai costi inferiori del marketing digitale. Molti rivenditori ritenevano che l'interesse dei consumatori per i cataloghi fosse diminuito, con un numero sempre maggiore di persone che acquistava online. Questo portò a un calo significativo della produzione di cataloghi e maggiori investimenti sui canali digitali. Con gli anni però il “rumore digitale” delle comunicazioni dei brand è aumentato al punto che è sempre più difficile distinguersi e differenziarsi. Tutti noi siamo bombardati quotidianamente da email, annunci pubblicitari e post sui social, e i messaggi di marketing rischiano di perdersi nella confusione. Ergo, il digital marketing inizia ad accusare il tempo e tutti noi siamo diventati bravissimi a saltare i contenuti pubblicitari in rete. In più anche i costi della pubblicità digitale stanno salendo e gli algoritmi delle principali piattaforme come Meta, Google e TikTok sono cambiati più volte rendendo difficile per le aziende fare pianificazioni a lungo termine. Queste tendenze stanno rendendo la pubblicità digitale sempre meno redditizia, costringendo il marketing a ripensare strategie e costi. Così molte aziende hanno iniziato a integrare le comunicazioni online con mezzi analogici, come i cari vecchi cataloghi cartacei. La cosa interessante è che questa decisione è stata presa anche da colossi del commercio online come Amazon che lo scorso Natale ha pubblicato un catalogo cartaceo di giocattoli. Anche la stessa Ikea ha iniziato a ripubblicare dei cataloghi tematici per eventi speciali come la Milano Design Week. C'è poi chi come il brand Patagonia usa il catalogo per raccontare il proprio impegno sulla sostenibilità.
UN MIX VINCENTE
Ciò che ha convinto molte aziende a tornare a stampare i cataloghi sono stati i risultati di uno studio dell'Harvard Business Review. In pratica, a seguito dell'invio dei cataloghi a migliaia di clienti statunitensi di un rivenditore di e-commerce, lo studio ha rivelato che coloro che hanno ricevuto sia cataloghi fisici che email hanno acquistato il 24% in più rispetto a quelli che avevano ricevuto solo l'email. Quindi una politica di comunicazione che integra i cataloghi all'online è più efficace e questo soptattutto per alcune tipologie di prodotti come la gioielleria, i viaggi, il cibo e l’alta moda. Cosa c'è dietro questo ritorno al catalogo cartaceo? Da una parte c'è una componente nostalgica: la carta e la dimensione “vintage” è rassicurante da un punto di vista psicologico e adatta alla condizione odierna di crisi e incertezza per il futuro. Con il catalogo cartaceo si instaura un rapporto fisico importante, un recupero di tempo più rilassato e una sensazione di maggiore controllo; inoltre il catalogo si può “personalizzare”, scrivendoci sopra, ritagliandolo, etc... Tutto questo sviluppa un rapporto più intenso e una maggiore memorizzazione della comunicazione che passa su questi strumenti e quindi un impatto più forte sull'efficacia promozionale dei messaggi. L'impressione infatti è che le persone sentano l'esigenza di una maggiore equilibrio tra le varie forme di comunicazione online e cartacee. Questo avviene sia nei target più maturi, ma anche tra i nativi digitali; perciò il futuro sarà sempre più nel mix tra online e offline.
QUEL MITICO MAGAZINE DI IKEA
Nel corso del tempo il catalogo Ikea - la cui prima stampa risale al 1951 – da semplice strumento commerciale si è trasformato in una sorta di agile saggio antropologico sulle dinamiche dei nostri stili di vita e dei modelli abitativi globali. A partire dagli anni Zero, l'annuario Ikea aveva un'impaginazione tale da somigliare più a un magazine lifestyle che a un catalogo, con titoli accattivanti e scene di ordinaria quotidianità instagrammabile che ci ha reso familiare oggetti dai nomi improbabili come Expedit, Klippan e Lack.
Il 2016 fu l'anno della massima produzione e distribuzione: 219 milioni di copie distribuite in 70 versioni e in 32 lingue. Un documentario Bbc in quegli anni sostenne che il catalogo Ikea fosse la pubblicazione più diffusa e letta al mondo, con più copie stampate della Bibbia o del Corano.
L'estetica del catalogo Ikea diventò così iconica da essere citata in libri e film. Il caso più eclatante fu la scena di “Fight Club”, il film di David Fincher del 1999 in cui il protagonista (Edward Norton) sogna di entrare e vivere in un catalogo Ikea, la sua lettura preferita in bagno. «Un tempo leggevamo pornografia, ora siamo passati all’arredomania», confessava rivolgendosi allo spettatore. Il catalogo Ikea rappresentava il simbolo dell’ossessione estrema dell’uomo moderno che si realizza nell’essere un consumatore da manuale.
Il catalogo Ikea è stato quello strumento che ha permesso all'azienda svedese di fare un salto di qualità, ovvero passare da vendere semplicemente mobili e accessori economici e dal design gradevole, ad essere il principale rifermento di un’idea più razionale, ordinata e divertente del nostro futuro abitativo. Più che una rivoluzione dell’arredamento, quella del colosso svedese è stata, grazie al catalogo, una vera e propria trasformazione dei costumi.
Dopo il 2016 però la produzione e distribuzione di copie iniziò a ridursi: in Italia, come in molti altri Paesi, nel corso degli anni rallentò e poi cessò la distribuzione gratuita porta a porta nelle prime settimane di settembre, come pure la vendita in edicola e, prima di cessare, il catalogo cartaceo poteva essere solo ritirato all'interno dei punti vendita Ikea.