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Una moto elettrica alla velocità della luce: Robert White lancia un bolide da 400 km/h con soli 100 kw

La White Motor Cycle 250EV
La White Motor Cycle 250EV
di Nicola Desiderio
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 15 Dicembre 2021, 12:58 - Ultimo agg. : 16 Dicembre, 11:11
4 Minuti di Lettura

Due ruote, un manubrio, una sella ed un motore. Fino a quando è stato solo a pistoni, nessuno ha messo in discussione la forma delle motociclette, ma l’elettrificazione sta arrivando anche tra le gambe dei centauri dove, al posto di serbatoio e cilindri, il futuro sarà fatto di elettroni.

Ascolta: Molto Futuro. Pale eoliche in mare davanti a New York. E in Italia la Pa diventa digital: ma che succede?

Un bel rompicapo tecnologico ed anche estetico che ingegneri e designer devono risolvere. Come dimensionare e piazzare un componente pesante come la batteria? E quale poesia ci può essere senza il caldo fascino della meccanica da orologiaio capace di compiere il rito ancestrale di imprigionare il fuoco trasformandolo in rumore e velocità? Eppure la storia insegna che le novità, dopo l’iniziale smarrimento, spingono i tecnici e i centri stile dove non avevano mai osato. E così ha fatto Robert White, un ingegnere che ha trascorso 20 anni della sua vita tra i reparti competizione di Mercedes-AMG, Aston Martin, Prodrive e Suzuki e che, ad un certo punto ha mollato tutto per un’idea: la moto con il buco. Si chiama WMC250EV dove WMC sta per White Motor Cycle, l’azienda da lui stesso fondata, EV per Electric Vehicle e 250 per le miglia orarie ovvero oltre 400 km/h, 402,34 km/h per la precisione.

UN TERZO DI CAVALLI

Niente di nuovo: la Voxan Wattman di Biaggi si è già spinta ben oltre, ma White vuole arrivarci con soli 100 kW, meno di un terzo. Il segreto è il buco, ovvero un condotto che attraversa la moto per tutta la sua lunghezza diminuendo del 69% la resistenza aerodinamica. Per qualsiasi mezzo che si muove oltre gli 80-100 km/h, l’aria è il nemico principale di efficienza e prestazioni. Il ragionamento di White è semplice e tipicamente inglese: invece di aggiungere cavalli, tolgo resistenza. Con il buco, al quale l’ingegnere britannico ha dato il nobile nome di V-Air. V sta per evidentemente per Venturi da Giovanni Battista Venturi, un fisico italiano vissuto a cavallo tra i XVIII e il XIX secolo non lontano dalla Motor Valley. Era nato infatti a Bibbiano nel 1746 e morì a Reggio Emilia nel 1822 lasciando ai posteri una preziosa osservazione: un fluido aumenta di pressione con il diminuire della velocità. A fare di questo fenomeno paradossale – passato alla storia come effetto Venturi – un’arma micidiale fu un altro inglese, Colin Chapman, che lo applicò alle sue auto da corsa negli anni ’70. La sua idea era semplice quanto geniale: se faccio passare l’aria più velocemente sotto la vettura ne diminuisco la pressione, dunque l’aria che passa sopra la spingerà verso il suolo. Chapman creava questo effetto attraverso condotti ricavati dalle pance laterali che si allargavano verso l’alto ed erano sigillate all’asfalto attraverso bandelle. Erano nate le “minigonne” e il cosiddetto “effetto suolo” che resero le sue Lotus con motore V8 Ford Cosworth più veloci delle assai più potenti Ferrari con motore 12 cilindri. Il tubo di White funziona allo stesso modo, ma con uno scopo diverso: far uscire l’aria nella parte posteriore della moto fornendogli una spinta virtuale e una deportanza cinque volte superiore ad una moto normale. Questo vuol dire maggiore stabilità e minore tendenza al sollevamento. Proprio a tale scopo negli ultimi anni lo sviluppo dell’aerodinamica nel campo delle moto da competizione è stato rapidissimo perché ridurre la tendenza ad impennare permette alla moto di accelerare più rapidamente.

ORGANI MOLTO MOBILI

A fare scuola è stata nel 2010 la Ducati in MotoGP con le famose alette, subito messe fuori legge, rilanciate nel 2015 e poi adottate da tutti insieme ad altri concetti aerodinamici altamente innovativi che hanno consentito alla GP21 di Zarco di raggiungere 362,2 km/h al Mugello. Parliamo di una moto da oltre 300 cv. White pensa che un terzo (100 kW pari a 136 cv) possa essere sufficiente alla WMC250EV per superare i 400 km/h, ma il suo fine ultimo non è il record. «Se è vero che questa tecnologia ti fa andare molto più veloce – afferma l’inglese – ti permette anche di andare molto più lontano con la stessa quantità di energia. E questo ha un beneficio diretto e tangibile sulla riduzione della CO2». White pensa poi che in un mezzo elettrico il 15-20% degli organi di propulsione ha una posizione fissa contro l’80% di uno con motore a pistoni e ha estremizzato questo concetto piazzando quattro motori nei mozzi delle ruote: due da 30 kW in quella posteriore e due da 30 kW in quella anteriore, non per avere la trazione integrale, ma per massimizzare il recupero dell’energia senza sbilanciare la moto. Considerando anche che un mezzo elettrico dissipa molto meno calore e la maggiore efficienza permette di impiegare batterie più piccole, leggere e meno costose, l’elettrificazione e l’aerodinamica trovano una mutua giustificazione per la moto del futuro. Il primo esempio è il WMC300FR, scooter 3 ruote derivato dallo Yamaha Tricity e provvisto di buco che diminuisce la resistenza aerodinamica del 25% e i consumi del 18%. E con il sistema ibrido, White punta a migliorare l’efficienza del 50% offrendo con un motore da 300 cc le prestazioni di un 500 cc. Sarà lui il primo modello della White Motorcycles ed è stata coinvolta anche la polizia inglese per svilupparlo su strada. Ma prima viene il record che sarà tentato nel 2022. L’appuntamento è in Bolivia al Salar de Unuy, a 3.520 metri sul livello del mare: vedremo se White ha ragione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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