Boom Podcast, il fondatore del Festival: «Un ecosistema produttivo che fa bene al Paese»

Boom Podcast, il fondatore del Festival: «Un ecosistema produttivo che fa bene al Paese»
di Emanuele Masiero
Mercoledì 17 Marzo 2021, 11:48 - Ultimo agg. 12 Maggio, 14:57
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Ci considerano artisti, creativi o addirittura geni. Caratteristiche ideali per il magico universo del podcasting dove per una volta l’Italia non deve per forza solo inseguire. L’audio in versione podcast rappresenta ormai uno spazio crossmediale che fonde l’arte della pianificazione legata alla scrittura insieme al piacere e alla casualità di una chiacchierata. Ne parliamo con Giulio Gaudiano, conduttore di StrategiaDigitale.info e fondatore del Festival del Podcasting.

Nel mondo del podcasting l’Italia insegue o tira la volata?

«Potremmo idealmente dividere la fruizione dei podcast in due grandi zone. Da una parte gli Stati Uniti e dell’altra i Paesi europei. Oltreoceano quando dici che sei un podcaster capiscono immediatamente cosa fai. Una decina di anni fa, quando mi trovavo a Boston, tutte le persone che incontravo mi consideravano un reporter come qualsiasi altro giornalista. La situazione italiana invece è molto diversa anche se abbastanza uniforme rispetto agli altri Paesi europei. Circa un 30% delle persone che usano internet sanno cos’è il podcasting e hanno quantomeno usato un’app dedicata. Ma non possiamo affidarci solo al numero di ascoltatori. Dobbiamo capire anche che tipo di podcast vengono ascoltati e se esiste un ecosistema che li produce».

Si può spiegare meglio?

«In questo sottosettore ci sono le radio, ci sono produttori media tradizionali e ci sono gli youtuber. Fatta la tara di tutto questo ci sono infine i podcaster che registrano un audio pensato per essere distribuito. Parlo di realtà come Storie Libere, Piano P, Quattro Tracce che rappresentano editori di podcast veri e propri. Da qui si capisce l’importanza della crescita non solo del numero di ascoltatori, ma soprattutto di un ecosistema di produttori in grado di creare un contenuto che prima non c’era».

Beh, ma se parliamo di creatività noi italiani siamo forti.

«C’è una bella differenza tra il podcast di rassegna stampa e il podcast di tipo comedy. Altrettanto tra un podcast di indagine sociale oppure contenuti di intrattenimento. Non tutti i contenuti sono culturali, e magari si fondano sulla chiacchierata».

E allora su quale terreno abbiamo una marcia in più?

«Difficile stabilirlo, ma sicuramente il podcasting non ha barriere all’ingresso e in questo modo persone eccellenti possono creare contenuti eccellenti e chiunque può beneficiare di un’offerta che non troverebbe in tv».

Ci fa un esempio?

«Uno dei podcast più ascoltati in Italia è “lezioni di storia del professor Alessandro Barbero”, quindi contenuti da un certo punto di vista pesanti che stimolano riflessione e approfondimento.

Evidentemente c’è fame di un contenuto qualitativamente migliore. Io stesso ho iniziato a fruire dei podcast per diventare più bravo nel mio lavoro, ma poi ho seguito anche lezioni di storia, storie di brand e attualità».

Intende dire che tutti possiamo diventare famosi?

«Voglio semplicemente dire che il podcast permette di prendere le persone migliori del Paese per far avere un impatto su altre persone e farle crescere abbattendo gli interessi che a volte passano per logiche di grandi tirature».

Il Festival Italiano del Podcasting avrà evoluzioni internazionali?

«Assolutamente sì perché già da quest’anno ci siamo connessi con altri festival d’Europa. Partnership che sono finalizzate anche a condividere e includere contenuti in un proficuo scambio di conoscenze e competenze. Poi ci sono altre attività correlate come convenzioni per biglietti scontati all’estero. La difficoltà più grande comunque resta la barriera linguistica. Ma non demordiamo e vorremmo incontrarci ad Amsterdam per creare una rete di festival europei».

Parlano tutti di ClubHouse il nuovo social tutto audio.È veramente utile per i podcaster?

«È molto interessante. Basterebbero dieci righe di codice per trasformare ClubHouse in una “killer app”. In sostanza servirebbe un tasto per registrare. In questo modo il contenuto diventerebbe immediatamente un podcast coniugando tre elementi: l’energia incredibile della trasmissione dal vivo, la possibilità di registrare e capitalizzare il tempo di creazione e distribuzione on demand e infine l’interazione tipica dei social network».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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