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Il mondo diviso in blocchi digitali: la Silicon valley da una parte, Mosca d'altra. E gli utenti russi si rifugiano nelle Vpn

di Raffaele D'Ettorre
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 16 Marzo 2022, 16:52 - Ultimo agg. : 22 Febbraio, 12:52
4 Minuti di Lettura

Nel conflitto tra Russia e Ucraina è intervenuto da qualche giorno un nuovo attore, che sta colpendo la Federazione lì dove fa più male, cioè nel vivo della sua economia digitale.

Ascolta: Attacchi cyber: i nostri dati messi a dura prova. Ecco come proteggerli

Scende in campo la Silicon Valley, e la lista dei colossi hi-tech americani che hanno preso posizione contro la Russia si allunga di ora in ora. Apple ha sospeso la vendita di tutti i suoi prodotti sul territorio russo, mentre Microsoft è riuscita a debellare dai sistemi di sicurezza ucraini alcuni malware progettati con lo scopo di cancellarne i dati. Google e YouTube hanno bloccato la vendita degli spazi pubblicitari su tutto il territorio mentre Intel e Amd, le due principali aziende produttrici di microchip al mondo, hanno aderito alle sanzioni internazionali imposte alla Russia. Un ulteriore affondo è arrivato anche dal noto imprenditore Elon Musk che, in risposta a un appello dell’esecutivo di Kiev, ha inviato in Ucraina tutto il necessario per consentire ai cittadini di collegarsi al suo sistema satellitare Starlink, garantendogli così un accesso indipendente a internet. Intanto Samsung, Oracle e Cisco stanno abbandonando il Paese.

IL PARADIGMA

Cosa significhi una guerra nel settore tech l’abbiamo visto già due anni fa nella questione Trump contro Huawei, quando gli Stati Uniti, bloccando la licenza Android sugli smartphone dell’azienda, hanno di fatto staccato la spina sul mercato occidentale al colosso cinese, destinato sulla carta a dominare il nascente settore del 5G dove invece gli States erano e sono ancora indietro a livello di infrastrutture. Il paradigma Huawei ci mostra quanto la tecnologia sia oggi una risorsa essenziale nella gestione degli equilibri internazionali. Una risorsa che in uno scenario bellico assume un ruolo fondamentale. E nonostante la Silicon Valley si sia sempre posta come attore super partes e anzi spesso in conflitto con il governo americano, in un mondo diviso in blocchi digitali sta diventando un’arma in mano all’Occidente. In risposta all’affondo della Valley, Mosca ha subito bloccato Facebook, Twitter e Instagram dalla nazione, suggerendo di passare a «piattaforme russe». Già venerdì scorso l’ufficio del procuratore generale russo aveva chiesto che Meta, la società che detiene Facebook e Instagram, venisse riconosciuta come organizzazione estremista per aver tolto la censura ai post contro la Russia. La Duma nel frattempo ha approvato una legge che prevede fino a 15 anni di carcere per chi diffonde fake news sul conflitto. E in un periodo storico in cui riprendere gli scontri è diventato facile quanto puntare uno smartphone, i provvedimenti russi hanno avuto l’effetto collaterale di tagliare fuori dal mondo proprio loro, i cittadini della Federazione, capaci di documentare senza filtri tutto quello che avviene dentro una nazione che da sempre custodisce con ferocia i suoi segreti.

IL MODELLO

Si va verso il modello cinese, dove i servizi occidentali vengono filtrati dal Grande Firewall governativo e si punta all’uso di alternative approvate dal Partito Unico. Gli utenti russi per ora cercano rifugio nella tecnologia delle Vpn, tanto che dall’inizio del conflitto è aumentato del 1.500% il download di questi servizi che consentono di aggirare i blocchi imposti dal governo ma che a nulla servirebbero in caso di distacco totale della rete. La Russia infatti aveva già minacciato lo scorso 11 marzo di trasferire connessioni e domini su RuNet (l’intranet di proprietà del governo che negli ultimi cinque anni ha ricevuto un incremento sostanziale degli investimenti atti a potenziarla), staccando dal web globale i suoi 115 milioni di utenti. Il viceministro russo per lo Sviluppo digitale ha subito smentito ma l’ipotesi rimane sul tavolo. Il Cremlino parla di un male necessario e ormai «inevitabile» per difendersi dagli attacchi informatici che in queste ore stanno arrivando dall’estero, in primis dal collettivo di hacker Anonymous, che si sta adoperando senza sosta per violare i sistemi russi. Perché guerra tecnologica significa inevitabilmente anche guerra informatica, e nelle ultime ore è aumentata a dismisura la diffusione di virus e malware riversati da uno schieramento all’altro. Una minaccia che fa paura anche qui in Italia, tanto che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla Sicurezza nazionale, Franco Gabrielli, ha invitato a disinstallare l’antivirus russo Kaspersky, che ha una presenza massiccia nella nostra pubblica amministrazione ma che potrebbe rappresentare un «cavallo di troia» per i russi.

L’OPERAZIONE

Quella del distacco totale della rete rimane però un’operazione complessa e costosa, che avrebbe come primo contraccolpo la fuga in massa di investitori e aziende straniere dal Paese. In Russia sta già succedendo, ed è un problema talmente grave che Putin ha dovuto lavorare a un piano di nazionalizzazione per le imprese estere che hanno deciso di abbandonare la Russia, imponendo una gestione governativa controllata a cui seguirà dopo tre mesi la liquidazione degli asset. Riemerge così dalle ceneri di un passato nemmeno troppo lontano lo spettro di un mondo diviso in blocchi. Tenuti a distanza dal deterrente nucleare, i due schieramenti in questa fase tengono lo scontro inchiodato anche sul web, tastando il terreno in cerca di cedimenti, tagliando tutti i ponti telematici. Nato per unire, oggi il web è in procinto di spaccarsi sotto il peso di un nuovo protezionismo digitale, dove i due schieramenti hanno spostato le lancette indietro di mezzo secolo, tracciando sul web una nuova Cortina di ferro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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