La lettera/ Are we spreading “bad” genes? Geni, ambiente, ideologie, e selezione di specie

La lettera/ Are we spreading “bad” genes? Geni, ambiente, ideologie, e selezione di specie
Lunedì 24 Giugno 2013, 15:02 - Ultimo agg. 30 Giugno, 19:27
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Chi lavora in ricerca e vive in contesti di collaborazione internazionale, ha posto cos tanta fede nella scienza e nella tecnica da immaginare che il mondo si sarebbe avvalso della dimensione delle “grandi intese”.






La decodifica del genoma umano è stata forse il culmine di questa illusione. Per costruire una società migliore, i ricercatori si sono illusi che bastasse costituire gruppi di studio che attraversavano la cortina di ferro; che le borse di studio che consentivano ai giovani migliori di viaggiare, avrebbero permesso di conoscere ed amare il mondo, e di favorire così la pace e la non violenza. L’aver passato quasi 70 anni senza guerre tradizionali in Europa, ha generato l’illusione che scienza e tecnica avrebbero soppiantato guerra e violenza nella soluzione dei problemi. Gulag, fondamentalismi, genocidi (Argentina, Armenia, Brasile, Cambogia, Cile, ex Jugoslavia, Ruanda, Salvador, Sudan, etc) sono stati vissuti come la “coda” di un passato destinato a sparire. Con l’11 settembre, l’illusione è finita. Chi si era rassicurato all’idea che fascismo e nazismo fossero scomparsi con la fine della seconda guerra mondiale e che il muro di Berlino fosse caduto senza spargimento di sangue (magari, qualche goccia prima), ha realizzato che stiamo vivendo un periodo tragico e violento della Storia: alle Torri Gemelle, si è risposto con Guantanamo e con l’Afghanistan; al terrorismo ceceno con l’ennesima guerra coloniale d’Europa; alla crisi economica del Pianeta, con la disoccupazione giovanile (colpendo cioè i più deboli ed indifesi). Se e in che misura ciò “confonde” la selezione di specie è l’oggetto di questa riflessione.



Selezione naturale

Negli ultimi 10.000 anni, la selezione della nostra specie è stata grandemente determinata da infezioni, da carestie, da emorragie. A questi determinanti ambientali (esterni), la specie umana ha contrapposto il più potente meccanismo di adattamento (plasticità) e quindi di selezione del quale è dotata: il polimorfismo genico.

Nel corso delle carestie, chi possedeva un patrimonio genetico in grado di garantire un metabolismo “adattabile” (cioè di consumare calorie in misura proporzionale agli introiti) veniva preservato. Chi, viceversa, possedeva “macchine metaboliche” che consumavano calorie in modo fisso (e, quindi, indipendente dagli introiti), soccombeva.

Selezione di specie si è anche determinata sulla base di polimorfismi di geni di fattori dell’emostasi (ad esempio, la mutazione “Leiden” del fattore V della coagulazione, o la mutazione G20210A della protrombina): chi possedeva un panel genetico che consentisse di perdere poco sangue dalle ferite o nel post-partum sopravviveva, chi no, soccombeva.

Le “pestilenze” sono state importante causa di morte e quindi meccanismo di selezione della specie: oltre che dalla forza dell’aggressione (carica batterica/virale), le infezioni e i contagi dipendono dalla potenza e dalla rapidità di risposta dei meccanismi di difesa dell’organismo (sistema immunitario). Chi possedeva un panel genetico che consentiva di rispondere in modo rapido e “aggressivo” alle infezioni sopravviveva, chi no, soccombeva.

Nell’insieme, la specie vivente non è quindi la migliore possibile: è quella meglio adatta o adattabile all’ambiente nel quale vive.



Geni “protettivi” diventano pericolosi per la specie umana

Con il miglioramento delle tecniche di coltivazione e di raccolta, vi è stato, negli ultimi 10-20 lustri, un aumento straordinario della disponibilità di risorse alimentari nel mondo occidentale: le carestie sono diventate sempre più rare. Le pandemie, inoltre, sono state ridotte dalle conoscenze di igiene, delle vie di contagio, dei serbatoi e dei vettori di malattia. D’altronde, l’osservazione che chi superava una infezione restava immunizzato e non era più esposto a riammalarsi di quella stessa malattia, è stato alla base della preparazione di vaccini ed ha fornito importanti informazioni sul sistema immunitario. Ulteriore miglioramento nella lotta alle infezioni è derivata dalla sintesi di chemioterapici e di antibiotici, in grado di attaccare direttamente i germi e di rendere sterili gli ambienti. Rilevante è stato anche il progresso nell’assistenza del post-partum e del trattamento delle ferite. Di fatto quindi, la specie vivente, geneticamente selezionata ad affrontare carestie, contagi ed emorragie, si trova oggi a vivere, in Occidente, una condizione largamente prevalente, dove la pressione di selezione dovuta a questi fattori è pressoché inesistente. In tale nuovo milieu ambientale, questi polimorfismi “protettivi”, sono diventati “sfavorevoli”. Le mutazioni “Leiden” e quella della protrombina sono “trombofiliche”, nel milieu attuale, predisponendo a patologie potenzialmente letali quali le trombosi venose e l’embolia polmonare. Non solo: questi polimorfismi sono oggi coinvolti nei meccanismi di poli-abortività (fondamentale sistema di selezione di specie). In un ambiente dove gli antibiotici la fanno da padroni, i panels genetici che consentono una risposta rapida ed aggressiva agli agenti infettivi, predispongono a malattie temibili e potenzialmente letali quali le patologie autoimmuni. Infine, i polimorfismi che rendono il metabolismo “adattabile”, sono oggi alla base della “pandemia” di diabete di tipo 2 e favoriscono la diffusione di “malattie del benessere” (sindrome metabolica, gotta). Come il diabete mellito, queste patologie sono ad alto rischio di mortalità. Ed è appunto il loro elevato rischio di mortalità a confermare che essi non sono più adatti all’attuale ambiente di vita: sono cioè polimorfismi “sfavorevoli”. L’uomo, però, attraverso l'esperienza e la scienza, ha predisposto difese nei confronti della malattia, studiandone i meccanismi e identificando i rimedi.



Al di là della selezione naturale

La selection by death (cioè la selezione di specie basata sulla più elevata mortalità di portatori di condizioni “sfavorevoli”), non sta di fatto avvenendo. Nella pratica medica, sono oggi disponibili farmaci antitrombotici, immunosoppressori e regolatori dell’assorbimento intestinale di zuccheri (tutti peraltro di uso ampio e generico) che prevengono e/o modulano le conseguenze cliniche di questi “polimorfismi sfavorevoli”. La vittoriosa lotta alla poli-abortività, mediante la profilassi antitrombotica in gravidanza, in portatrici di mutazioni “trombofiliche”, è un ulteriore esempio di ciò. Successi, questi, che sono, però, nel contempo, indiscutibile evidenza della sopravvivenza e della diffusione (spreading) e proliferazione nell’ambiente di geni “sfavorevoli (“bad” genes). È quindi “l’ambiente farmacologico”, cioè i progressi della medicina derivanti dalla ricerca, a frenare (“confondere”) la selezione di specie. Le nuove tecnologie in ambito farmacologico e biotecnologico mettono di fatto oggi a disposizione mezzi capaci di incidere sulla natura biologica dei singoli soggetti curati, e perciò sulla società e sulle future generazioni. Combattere la malattia, prevenire le malattie ereditarie (con la conoscenza delle cause) e l'handicap, è opera di cultura e di progresso. Perseguire in questo modo la lotta alla malattia e alle sue cause, impone di valutare i limiti e i rischi a distanza di interventi di questo tipo. È ovvio che le popolazioni si difendano dal freddo bruciando legnami e piante. Se questo però provocasse desertificazione (a causa della mancanza del rimpiazzo delle piante e della preservazione dei boschi), si porrebbe il problema dei limiti e delle responsabilità in ordine all'ambiente ecologico compatibile con la vita. Ugualmente, se l'impiego degli antibiotici, applicato in maniera impropria, comportasse perdita delle difese immunitarie negli organismi umani, bisognerebbe riesaminare i limiti e le qualità di quei farmaci. Quanto, in questo tipo di interventi farmacologici e biotecnologici, vi sia di critico rispetto alla selezione naturale è doveroso oggetto di dibattito. Alla base del quale vanno oggi posti i concetti di vigilanza, controllo, discernimento nonché l’informazione che non è la prima volta che l’uomo “partecipa” direttamente alla selezione. Nella Storia, sotto l’egida degli interessi dei molti ("razza"; "patria"; "onore"; "religione"; etc), vi sono stati effetti importanti in tema di selezione di specie. In più occasioni, l’effetto di carestie, di infezioni e di emorragie è stato “rifinito” (“confuso”) da azioni ideologico – culturali dettate dalla protervia, dall’ottusità, dall’animalità della progenie di Caino.

In un mondo nel quale la pena di morte sopravvive in grandi Nazioni (USA, Cina), le “frontiere fragili in bio-medicina” (rischi di medicalizzazione, manipolazioni biotecnologiche) vanno identificate e valutate in modo interdisciplinare, prima di affrontare con coerenza il dibattito sulla selezione della specie. Conoscere noi stessi è indispensabile pre-requisito per questa operazione. Tayfur Abu Yazid al-Bistami (Bastam, Persia, 804 – 874), raccontando di sé, diceva: “ Quando ero giovane, ero un rivoluzionario, e pregavo Dio così: “O Dio, dammi la forza di cambiare il mondo”. Quando raggiunsi la mezza età e vidi che non ero riuscito a cambiare una sola persona, pregavo così: “O Signore fammi la grazia di cambiare almeno la mia famiglia ed i miei amici”. Ora che sono vecchio, prego Dio solo così: “ Signore, fammi la grazia di cambiare me stesso”. Oh, se avessi pregato così fin dall’inizio!”



Giovanni Di Minno e Giovanni de Gaetano.

Clinica Medica, Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università “Federico II”, Napoli e IRCCS Neuromed, Pozzilli, Isernia







* Ringraziamo S.E. Card. Elio Sgreccia, Laura Kornblihtt (Universidad de Buenos Aires, Argentina), Dolly Esther Cubasso (Universidad Catolica de Cordoba, Argentina), Maria Benedetta Donati, Chiara Cerletti, Licia Iacoviello, Marialaura Bonaccio (IRCCS Neuromed, Pozzilli, Isernia), Maria Carla Roncaglioni, Vittorio Bertelè (Istituto Mario Negri, Milano) Norma Maugeri (IRCCS San Raffaele, Milano), per il loro contributo di idee e di emozioni.