Terremoti, dai satelliti primi indizi per prevederli. Ma l'Ingv frena: «Ancora lontani»

Terremoti, dai satelliti primi indizi per prevederli. Ma l'Ingv frena: «Ancora lontani»
Giovedì 21 Settembre 2017, 16:39 - Ultimo agg. 23:03
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Osservare le deformazioni del suolo con l'aiuto dei satelliti e misurare livello e composizione chimica dell'acqua che scorre nel sottosuolo sono due delle vie che la ricerca ha cominciato a percorrere in cerca dei possibili indizi dell'arrivo di un terremoto. Accanto a queste, si cerca di ricostruire la sequenza di eventi innescata dalla rottura di una faglia per mettere a punto un sistema di allerta precoce. La prima ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, è coordinata dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e condotta con le università di Cassino e L'Aquila.

Le immagini dei satelliti radar mostrano una depressione del suolo di 1,5 centimetri iniziata nel 2006 nella stessa area dell'epicentro del terremoto che ha colpito L'Aquila nel 2009. Per il coordinatore della ricerca, Marco Moro, la possibile relazione tra la deformazione del suolo e l'arrivo di un terremoto «va verificato su altri sismi» e per questo si sta cercando un accordo con società specializzate in analisi dei dati da satellite per studiare terremoti avvenuti in passato in zone con caratteristiche geodinamiche diverse. In Italia le ricerche potrebbero concentrarsi «nelle cosiddette zone di 'lacuna sismicà, nelle quali le faglie sono ferme da troppo tempo».

Il secondo articolo, sempre su Scientific Reports e coordinato da Marco Petitta, dell'università Sapienza di Roma, ha analizzato la variazione nella composizione chimica dell'acqua, con la comparsa di elementi come arsenico, cromo, vanadio e ferro. Il fenomeno, osservato dal maggio 2016 nella piana di Sulmona, è stato causato da un'anomalia nelle rocce più profonde osservata in relazione alla sequenza sismica di Amatrice-Norcia del 24 agosto 2016. «L'idea è nata dalle modifiche sostanziali nel flusso delle acque di falda e di sorgente osservate dopo il terremoto de L'Aquila del 2009», ha detto Petitta.

L'energia, i gas e i fluidi liberati dai terremoti potrebbero essere all'origine dei cambiamenti nell'acqua. La ricerca sta andando avanti nella stessa zona grazie a nuovi sensori, mentre si punta a individuare più zone pilota, anche in collaborazione con gruppi di ricerca di altre nazioni. Quella della previsione dei terremoti, ha osservato Petitta, «è una strada lunga e accidentata e non è detto che ci si riesca, ma c'è un'apertura della ricerca in questa direzione, con potenziali risultati anche se non a breve termine». È pubblicata su Science, infine, la ricerca del California Institute of Technology (Caltech) che ha ricostruito in un modello gli eventi immediatamente successivi alla rottura di una faglia sulla base dell'analisi di 100 terremoti, con l'obiettivo di proporre un sistema di allerta precoce. 
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