La compagna di Roberto Lo Giudice
accusato di aver ucciso la moglie:
«E' innocente, dicono solo bugie»

La compagna di Roberto Lo Giudice accusato di aver ucciso la moglie: «E' innocente, dicono solo bugie»
di Corso Viola di Campalto
Giovedì 1 Aprile 2021, 13:23 - Ultimo agg. 18:16
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AMELIA Montecampano il giorno dopo l’arresto di Roberto Lo Giudice, che abita alle porte del paese, in un ex mulino ristrutturato con la nuova compagna Caterina Parisi ed i suoi figli piccoli, sembra essere lontana anni luce dal presunto omicidio di Barbara. Quando proviamo a parlare coi vicini della coppia che discutono lungo la strada, c’è un fuggi fuggi generale. C’è chi si rintana in casa e chi accelera il passo per allontanarsi: «Non ci scocciate - dicono in coro - non sappiamo nulla, andate dai carabinieri».
Roberto vive con Caterina di fronte alla famiglia di Barbara. Una villetta protetta da alcune videocamere, con un giardino dove sorge una piscina e alcuni giochi per bambini. Appena ci vede, Caterina si affaccia dal cancello, e non è in pace: «Di questa vicenda non so nulla - dice arrabbiata la donna- ma ora mi dovete lasciare stare, state raccontando tante bugie. Roberto è innocente e lo state distruggendo».
Poi, chiama i carabinieri e ci chiede di andare via: «Ora devo pensare ai miei figi piccoli e preservarli dalle troppe cattiverie che girano, andate via». 
Lei è la sorella della moglie di Maurizio Lo Giudice, anche lui indagato per l’omicidio di Barbara. Nel 2009, pochi giorni dopo la scomparsa di Barbara, Roberto è andato a prenderla a Reggio Calabria, per farla conoscere ai figli. Poi, dopo un periodo passato a La Spezia con il fratello, Lo Giudice ha deciso di tornare a vivere ad Amelia, insieme a Caterina che nel frattempo aveva dato alla luce il primo bambino, dove fino ad un mese fa ha gestito in negozio di ferramenta di via Roma, una volta intestato al figlio (costretto a pagare i debiti residui) ma anche un canile che ha messo in piedi nel suo terreno. Un negozio che ha dato in gestione ad un giovane amerino, continuando però a fare il suo lavoro di muratore. A pochi metri vive la famiglia di Barbara e la beffa del destino emerge leggendo i due nomi sul citofono accanto l’uno all’altro: Roberto e Natilia Corvi, sotto un’unica scritta “Lo Giudice”.
Il padre Roberto non lascia i toni calmi e pacati che ha sempre tenuto in questi 12 anni: «Finalmente la luce in fondo al tunnel, non possiamo non ringraziare gli inquirenti che ci hanno creduto e stanno facendo giustizia, come ci sembrava assurdo che le indagini fossero state archiviate sei anni fa, malgrado ci fossero ancora tanti e nuovi elementi su cui si poteva ancora lavorare: sicuramente non era stato fatto abbastanza per cercare la verità. Ora finalmente abbiamo trovato un procuratore che è dato fino in fondo, rileggendo bene tutti gli atti. Quel 27 ottobre- conclude Roberto- è rimasto indelebile nella nostra memoria e giorno dopo giorno, abbiamo aperto gli occhi su una realtà che non conoscevano e che ci ha devastato e distrutto psicologicamente, Ora finalmente un po’ di luce, quella giustizia». 

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