Il neurochirurgo Maira: «Coronavirus, abbiamo usato troppo la parte emotiva del cervello, ora serve rispetto e senso di responsabilità»

Il neurochirurgo Maira: «Coronavirus, abbiamo usato troppo la parte emotiva del cervello, ora serve rispetto e senso di responsabilità»
di Vanna Ugolini
Martedì 3 Marzo 2020, 09:19 - Ultimo agg. 5 Marzo, 15:06
4 Minuti di Lettura
Di stelle e di pensieri. Di scienza e di Dio. Di emozioni e coronavirus. Di Terni e di amicizia. Più che una intervista un lungo colloquio che sarebbe potuto durare molte ore, seguendo il filo della scienza che si trasforma in cultura che si trasforma in fede.
Il professor Giulio Maira è uno dei massimi chirurghi italiani del cervello a livello internazionale. E ha voluto scrivere un libro Il cervello è più grande del cielo che si apre con una poesia di Emily Dickinson.

Professo Maira, lei è un Neurochirurgo. La poesia cosa c'entra?
«Il nostro cervello è fatto di 86 miliardi di neuroni, tanti quanti sono le stelle della galassia. Il nostro cervello, però, è più grande perchè con la nostra fantasia possiamo immaginare tutto il creato e l'intero l'universo. Ci possiamo mettere dentro tutto. E poi le stelle sono una speranza per il futuro. Ho scritto anche un altro libro, Ti regalo le stelle, perchè, in fondo, quello che fa il medico è quello di dare una speranza in più, una opportunità in più. Ho anche una fondazione di ricerca il cui simbolo è una cometa».

Lei torna venerdì 6 marzo a Terni a presentare il suo libro. Qui ha lavorato a lungo. E' rimasto legato a questa città? (L'appuntamento è stato successicamente rinviato ndr)

«Sono stato in Umbria dal 94, ho vinto il concorso a cattedra universitaria di Perugia, che ha una doppia sede e per scelta si è deciso di fare la Neurochirurgia a Terni. Abitavo a Spoleto, insegnavo a Perugia e Terni. Il rapporto che ho con Terni è speciale: quando torno ancora oggi non riesco a pagare un caffè».

Cosa pensa dell'impoverimento della sanità ternana?
«Quando lavoravo io a Terni c'erano veramente professionisti seri e importanti. Purtroppo la governance resta a Perugia e Perugia resta il faro che illumina anche Terni. Ma Terni è sempre stato un ospedale di qualità. Con il dottor Aristide Paci e con Ciano Ricci Feliziani presentammo un progetto per un unico centro di Neurochirurgia con la sola ragione di avere un polo coordinato per rendere più armonizzata la sanità regionale. Purtroppo, per il dualismo fra Terni e Perugia, non riuscimmo a realizzare il progetto e Terni rimaneva una realtà troppo piccola. Così me ne andai e tornai a Roma, nonostante tutto l'affetto che provavo per Terni».

Comunque a Terni il dipartimenti di Neuroscienze è stata una realtà importante.
«Era riconosciuto come uno delle realtà più avanzate. Era venuto il ministro della salute ad inaugurarlo. Non era un dipartimento sulla carta ma una realtà concreta, c'era una sala operatoria allora all'avanguardia e facemmo un accordo anche con la Fondazione John Hoptkins di Baltimora»

Forse aveva troppa luce la stella di Terni.
«Non lo so. So che in quel nucleo fu abbozzato anche il centro delle cellule staminali con il professor Vescovi che avrebbe dovuto rappresentare l'evoluzione della Neurochirurgia a Terni. Il progetto sarebbe stato di grande impatto scientifico e internazionale».

Siamo in tempi di Coronavirus. Abbiamo reagito in maniera troppo emotiva?
«Lo studio del cervello ci spiega tanti comportamenti. Il cervello è composto tante cellule: centomila anni fa si è sviluppata la corteccia razionale e l'uomo ha sviluppato la razionalità, quello che lo distingue dallo scimpanzè. Nella vicenda del coronavirus c'è stata prima una grande emotività, il pensiero ha lavorato più emotivamente. Il futuro non è solo l'emergenza: ognuno diventi responsabile dei suoi comportamenti.
Bisogna lavorare sulla responsabilità sociale, la nostra libertà va limitata dal rispetto che dobbiamo avere dell'altro».

Lei pensa sia possibile che in Italia ci siano tanti contagiati più che dalle altre parti del mondo?
«Non è possibile che non ci siano altri casi in tutto il mondo. E i numeri che stanno arrivando dalla Germania e dalla Francia lo confermano. Noi abbiamo un sistema sanitario molto aperto e molto disponibile e abbiamo lavorato con un pensiero veloce, che non ci ha fatto riflettere. Per esempio, il tampone va fatto solo a chi ha i sintomi se è vero che il virus gira prima di quando è stata data l'informazione. Il nostro sistema sanitario sta lavorando bene ma bisogna anche usare il pensiero razionale. Va fatta meno drammaticità da parte dell'informazione dei vari governatori regionali. Va detto: stiamo lavorando, se ci sono problemi vi informiamo, nel frattempo continuate a fare una vita normale. Adesso è il momento di fermarsi e di dare il giusto valore alle cose».

Ritorniamo all'inizio, al suo libro: perchè l'ha scritto?
«Per 40 anni ho fatto il neurochirurgo con grande amore e mi rendo conto di quanto il cervello sia un organo straordinario. Tutte le volte che ho aperto un cranio mi sono detto: quali pensieri staranno passando adesso? Tutte le volte che operato mi sono detto Cosa sto portando via a questa persona? E l'ho voluto raccontare».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA