PERUGIA - L'emozione e l'entusiasmo sembrano quelli del primo giorno di scuola, ma le prospettive non sono altrettanto esaltanti, visto che sembra di aver davanti solo esami di matematica e meteorologia applicata alla sociologia. Perché oggi riaprono i ristoranti e i bar a pranzo e a cena, ma soltanto chi ha dehors e spazi esterni.
Le regole dell'ultimo decreto in vigore fino al 31 luglio, prevedono tavoli di massimo quattro persone, tranne se conviventi, con distanze di almeno un metro. La riapertura dei locali all'interno sarà possibile solo a pranzo, ma dal primo giugno.
Queste, in estrema sintesi, le novità per la zona gialla (comunque rinforzata, nella pratica) che se da una parte danno certamente respiro ai titolari delle attività di ristorazione, dall'altra non rendono affatto sereni. «Noi riapriamo, ma non siamo contenti – spiega Gianni Segoloni del Bistrot in piazza Matteotti -. È un provvedimento iniquo, perché c'è chi può riaprire e chi no. E poi siamo costretti a riaprire con uno sguardo ai tavolini e uno al meteo: se piove e fa freddo e noi intanto abbiamo fatto scorte e chiamato i dipendenti poi come si fa? Per adesso noi ripartiamo quasi a pieno organico, al 75 per cento rientrano i collaboratori, ma togliere la gente dalla cassa integrazione (che è l'unica ancora di salvataggio) non ti fa dormire la notte. Perché riapriamo? Perché abbiamo bisogno di rigenerare un po' di flusso di cassa. Dopo sei mesi di non liquidità abbiamo bisogno di ridare, speriamo, un po' di ossigeno ai nostri conti. Compri, paghi a trenta-sessanta giorni e nel frattempo cominci a ridare giro alla liquidità».
«Fare debiti per lavorare è controproducente. È una follia». Netta, invece, la bocciatura di questa riapertura per Michele Radicchia, chef del Camino Garibaldi e pasionario della contestazione decisa ma garbata. «Noi non riapriamo, così è solo un escamotage per evitare le manifestazioni a Roma – spiega -.