Le revocano la pensione di guerra e la vogliono indietro: nonnina batte il ministero

Le revocano la pensione di guerra e la vogliono indietro: nonnina batte il ministero
di Egle Priolo
Venerdì 28 Ottobre 2022, 12:34
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PERUGIA - Ha quasi novant'anni, un pensione di guerra e potrà raccontare ai nipoti di aver battuto anche il ministero dell'Economia. Condannato a pagarle le spese del giudizio davanti alla Corte di conti dopo averle non solo revocato la pensione, ma richiedendole indietro ben 58 mensilità, quasi cinque anni di rendita.

Ma la nonnina, anziana ma non doma, ha fatto ricorso, lo ha vinto e ha ottenuto anche la condanna del dicastero di via XX Settembre. Che ora dovrà pagarle anche 1.500 euro per le spese. La storia inizia nel 2019, quando la signora, titolare di una pensione di guerra indiretta, a novembre di tre anni fa se l'è vista revocare dal ministero, che ha pure disposto il recupero delle somme percepite dal primo gennaio 2015 al 31 ottobre 2019. C'è il ricorso gerarchico alla magistratura contabile ma anche un procedimento penale fatto aprire dallo stesso dicastero, che però intanto viene archiviato: nel ricorso la donna – assistita dall'avvocato romano Benedetto Marzocchi Buratti - contesta la legittimità del recupero, forte di un decreto del presidente della Repubblica (il 377 del 1999) che non consentirebbe, in assenza di dolo, il recupero delle somme percepite prima della revoca del trattamento pensionistico. Il ministero risponde, come riassume la sentenza della Corte dei conti a firma del giudice Marco Scognamiglio, contestando l'applicazione del decreto per l'imposizione al titolare del trattamento pensionistico di comunicare all’amministrazione le variazioni reddituali determinanti la perdita del beneficio e richiamando invece un altro decreto del 1978, che supporta invece la dura decisione di via XX Settembre.
Ma il giudice contabile, in composizione monocratica, dopo una lunga disamina delle due norme ha ritenuto di non rinvenire «motivo di discostarsi dall’orientamento ampiamente maggioritario e ritiene pertanto che, laddove il mutamento delle condizioni reddituali abbia comportato la perdita del diritto alla percezione del trattamento pensionistico, la regola di cui al richiamato art. 6 del d.P.R. n. 377/1999 - che vieta il recupero dell’indebito già percepito in assenza di dolo da parte del pensionato - debba trovare applicazione anche ai casi di omessa comunicazione». Assenza di dolo (riferito alla contestata mancata comunicazione all'amministrazione del cambiamento della situazione reddituale), tra l'altro, riconosciuto sia dal giudice penale che dal ministero, anche per la corretta presentazione ogni anno delle varie dichiarazioni di redditi all'Agenzia delle entrate. «Il che contribuisce, ulteriormente - si legge ancora nella sentenza della Corte dei conti -, a destituire di fondamento l’eccezione formulata in udienza di discussione, da parte della difesa del Ministero, la quale ritiene attribuibile alla ricorrente una condotta caratterizzata da “dolo omissivo”».
Ma non solo.

Perché il giudice contabile fa un passo avanti e decisamente non di poco conto: «Non sarà ultroneo rilevare – scrive ancora Scognamiglio nella sua sentenza - che, trattandosi nella fattispecie di pensionata ottantaseienne in precarie condizioni di salute, come in atti documentato, l’entità del recupero lo renderebbe sì gravoso per la pensionata stessa da risultare in contrasto con il dovere di solidarietà economica e sociale tutelato dall’art. 2 della Costituzione». Da qui, la decisione di accoglimento del ricorso in favore dell'anziana, il recupero negato dei 58 mesi di pensione e la condanna del ministero. Con tanti auguri all'86enne che ha tenuto testa alla burocrazia.

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