Padre Albanese: Grandi masse si sposteranno in Africa, effetti collaterali del Covid-19

courtesy padre Giulio Albanese
courtesy padre Giulio Albanese
di Franca Giansoldati
Giovedì 9 Aprile 2020, 18:19 - Ultimo agg. 18:20
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Città del Vaticano - L'Africa è già sotto scacco per il covid-19 anche sotto il profilo economico. «I contraccolpi sulle economie africane avranno effetti pesantissimi sulle popolazioni. Parlo di effetti collaterali come gli spostamenti interni di grandi masse dovuti in primis alla miseria». Padre Giulio Albanese, missionario e africanista, analizza gli effetti del coronavirus sugli equilibri del continente. Tra i fattori negativi determinanti: lo stop della crescita economica, l'attuale deprezzamento del petrolio, la minore circolazione di denaro. 

Quali saranno gli effetti più immediati?

«Al di là delle valutazioni sanitarie della pandemia c'è da considerare anche quelle collaterali all'aspetto economico. Non dimentichiamo che le esportazioni dell'Africa verso Cina, Europa, Americhe hanno subìto un drastico arresto da quando le frontiere si sono chiuse. L'arresto di attività e importazioni è stato brusco. Penso alle materie prime, alle fonti energetiche ma anche a prodotti agricoli e alimentari. E si è innescata una reazione a catena. Di conseguenza le entrate dei singoli stati, nella loro diversità, hanno subito un drastico ridimensionamento». 

Questo aumento prevedibile della povertà avrà conseguenze sull'immigrazione?

«Internamente si. Io penso che i fenomeni migratori potrebbero essere soprattutto interni. Già adesso chi emigra ha denaro per affrontare il viaggio. I più poveri continuano a vivere nelle baraccopoli. Già adesso il 75% degli spostamenti riguarda persone che restano in Africa. L'ulteriore povertà o disperazione causata dagli effetti del coronavirus aumenteranno la disoccupazione, l'incertezza, la fragilità e sono tutti fattori che possono sicuramente aumentare la mobilità nel continente. L'esodo di massa verso l'Europa non lo vedo (anche perchè oggi ai loro occhi siano noi occidentali gli untori). Semmai vedo più masse interne pronte a spostarsi». 

L'anno scorso è stato costituito il mercato comune africano, si trattava di un buon passaggio...

«Purtroppo il covid-19 non ci voleva. Si trattava di una buona partenza iniziata in Niger, una iniziativa fortemente sostenuta da vari attori, anche internazionali, penso alla Cina. In Africa vi è una attività borsistica sostenuta dall'estero ma anche lì le borse hanno subito gravi perdite. Il settore turistico (in paesi per esempio come il Kenya, la Tanzania o il Sudafrica) è fermo e chissà quando si riprenderà. L'impoverimento per l'Africa è più immediato, non ci sono ammortizzatori. Il Pil dei paesi si regge soprattutto sul terziario e sulle materie prime e sono contesti penalizzati. A questo si aggiunge il debito dei paesi africani che cresce». 

Possono bastare i 15 milioni di euro stanziati dall'Europa e annunciati dalla Von Der Leyen? 

«Il problema non sono quei 15 milioni di euro, è che bisogna cambiare le regole del gioco. Modificare mentalità e approccio. Il Covid-19 anche in Africa ci sta dicendo che senza un metodo più interconnesso non si va da nessuna parte. Abbiamo un destino comune. I problemi degli altri sono anche i nostri oppure andiamo a fondo». 

La Cina è una delle nazioni che maggiormente sta spolpando l'Africa ultimamente. 

«La Cina ha investito in questi anni, ma non secondo le logiche tradizionali. Hanno tralasciato l'agenda dei diritti umani, è vero, investendo nello sfruttamento delle materie prime. Tuttavia la Cina tenendo conto dei cambiamenti sui mercati si è resa conto che deve operare attraverso un decentramento da un punto di vista della produzione, e così investe già nella industrializzazione africana operando nel decentramento. Lo fa con operai cinesi. Bisognerebbe adottare il principio del Trade not aid». 

Come si puo arginare il contagio?

«Il contagio in Africa in un contesto tanto ampio e complicato come quello è difficile. I governi ce la stanno mettendo tutta e applicano anche i protocolli ma le situazioni nazionali sono quelle che sono. Pensate che in Centrafrica, grossa quanto la Francia con 5 milioni di abitanti,» possiede solo 3 ventilatori polmonari».















 

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