«Disonorato il nome di Dio», il Papa condanna l'antisemitismo, pesa il ricordo di un prete nazista

«Disonorato il nome di Dio», il Papa condanna l'antisemitismo, pesa il ricordo di un prete nazista
di Franca GIansoldati
Martedì 14 Settembre 2021, 09:48 - Ultimo agg. 18:36
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Bratislava (Slovacchia) - Il Papa scherza divertito sulla sua salute mentre si sposta da un punto all'altro della capitale slovacca con l'orologio in mano per far fronte puntuale alla raffica di impegni che lo attendono, tra cui la visita al memoriale ebraico e la richiesta di perdono agli ebrei. Difficile per loro dimenticare una delle pagine più oscure della Chiesa visto che in questo paese, ammette Francesco, «il nome di Dio è stato disonorato; la blasfemia peggiore che gli si puo arrecare è quella di usarlo per i propri scopi, anziché rispettare e amare gli altri». Il riferimento implicito è a monsignor Jozef Tiso, il prete filo-nazista divenuto presidente. Fu lui che nel febbraio 1942 concluse un accordo con i tedeschi per i primi trasporti di ebrei. Circa 100.000 ebrei furono deportati.
La giornata papale ha avuto inizio con un fuori programma che lo ha divertito molto: un giornalista dalla folla, mentre entrava in cattedrale, gli ha urlato forte chiedendogli come si sentisse dopo l'operazione al colon.

Papa Bergoglio si è fermato, ha riso e salutato i presenti con la mano, replicando con voce tonante: «Sono ancora vivo!» A vederlo così energico si intuisce che stare fuori dal Vaticano e dalla cappa micidiale che ormai circonda Santa Marta dove il pontefice vive asserragliato circondato da pochi fedelissimi, gli fornisce una grande iniezione di energia. A Bratislava sfodera, infatti, ottimismo e buon umore, galvanizzato dal contatto ritrovato con la gente. Naturalmente ogni volta che si sposta lo fa accompagnato dall'infermiere che gli ha salvato la vita, pronto ad intervenire se mai dovesse servire. Ma per ora il rischio sembra remoto. Si capisce che al Papa piace andare a fare visita alle comunità, toccare con mano le attività dei centri di carità. Una volta arrivato si informa, indugia, chiede, è curioso.

La prima parte della giornata la ha spesa per adempiere ai compiti istituzionali con la visita ufficiale alla Presidentessa, Zuzana Caputova, una giovane avvocata che apprezza molto per l'impegno fortemente europeista e orientato a difendere l'ambiente. A lei ha riservato parole di incoraggiamento per il cammino intrapreso.
Nel pomeriggio, invece, si è concentrato sulla parte più complessa, simbolica e dolorosa andando a trovare la comunità ebraica slovacca ancora provata da quanto accaduto durante le persecuzioni naziste.

La memoria è difficile da affrontare specie se a dare gli ordini fu un prete.

Jozef Tizo, il cui nome ancora oggi fa rabbrividire i discendenti dei pochi sopravvissuti. Francesco pronuncia l'atteso mea culpa: «Il nome di Dio è stato disonorato: nella follia dell'odio, durante la seconda guerra mondiale, più di centomila ebrei slovacchi furono uccisi. E quando poi si vollero cancellare le tracce della comunità, qui la sinagoga fu demolita». Il presidente dell'Unione centrale delle comunità ebraiche, Richard Dudarev gli va incontro. Quelle parole sono un balsamo. «Sono una svolta, un momento storico. Apprezziamo molto questo gesto». La storia di monsignor Tiso resta un pugno nello stomaco: verso la fine degli anni Trenta, divenne prima leader del partito Hlinka, poi primo ministro e infine presidente. Lo Stato slovacco, proclamato nel marzo 1939 in nome di Dio e per volontà della nazione slovacca, adottò un programma nazionalsocialista. Un passaggio che venne condannato dalla Santa Sede.

Il Segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Luigi Maglione, espresse la rimostranza in una nota del 14 novembre 1941, ma non ci fu nulla da fare. Mentre la maggioranza della gerarchia cattolica sosteneva la politica antiebraica del governo, alcuni importanti rappresentanti della Chiesa slovacca si espressero comunque in termini forti. Tiso intanto dichiarava che era un atto cristiano espellere gli ebrei, poiché era a vantaggio della nazione liberarsi dei «suoi parassiti». Nel 1947 fu condannato a morte e impiccato a Bratislava.

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