Il cardinale Pell: «Nei 13 mesi di prigione Dio era con me, ho pregato per amici e nemici»

Il cardinale Pell: «Nei 13 mesi di prigione Dio era con me, ho pregato per amici e nemici»
di Franca Giansoldati
Giovedì 16 Luglio 2020, 08:51
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Città del Vaticano - «Non mi sono mai sentito abbandonato da Dio, sapendo che il Signore era con me, anche se non capivo bene cosa stesse facendo per la maggior parte di quei tredici mesi. Per molti anni avevo predicato la sofferenza che anche il Figlio di Dio ha sperimentato su questa terra, e io stesso ero consolato da questo fatto. Quindi, ho pregato per amici e nemici, per i miei sostenitori e la mia famiglia, per le vittime di abusi sessuali e per i miei compagni prigionieri e i guardiani». Il cardinale George Pell dopo il proscioglimento da parte dell'Alta Corte australiana rompe il silenzio per raccontare, attraverso alcuni media australiani, il suo lungo periodo in carcere vissuto con accuse pesantissime sulla testa, come una spada di Damocle: abusi su minori. L'ex zar dell'economia riconosce che in prigione «c’è molta bontà. Ho avuto la fortuna di essere tenuto al sicuro e trattato bene. Sono rimasto colpito dalla professionalità dei secondini, dalla fede dei prigionieri e dall’esistenza di un senso morale anche nei luoghi più bui».

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«Sono stato in isolamento per tredici mesi, dieci nella prigione di valutazione di Melbourne e tre nella prigione di Barwon. A Melbourne l’uniforme della prigione era una tuta verde, ma a Barwon mi hanno dato i colori rosso vivo di un cardinale. A dicembre 2018 ero stato condannato per reati sessuali storici contro i minori, nonostante la mia innocenza e nonostante l’incoerenza del caso del procuratore della Corona contro di me. ¬ Alla fine l’Alta Corte avrebbe dovuto annullare le mie convinzioni con una decisione unanime». 

Il carcere di Melbourne viene descritto così: «vivevo nella cella 11, unità 8, al quinto piano. Lunga sette o otto metri e larga circa due metri, quanto bastava per il mio letto, che aveva una base solida, un materasso non troppo spesso e due coperte. A sinistra appena entrati c’erano scaffali bassi con bollitore, televisione e spazio per mangiare. Dall’altra parte della stretta navata c’era una vasca con acqua calda e fredda e una doccia con una buona acqua calda». Pell poteva uscire per l'ora d'aria. «In nessun punto dell’Unità 8 c’erano vetri trasparenti, così da poter riconoscere il giorno dalla notte, ma non molto di più, dalla mia cella. Non ho mai visto gli altri undici prigionieri».

L'isolamento è stato totale. «Mi meravigliavo di quanto potevano battere i pugni, ma un guardiano mi spiegò che avevano calciato con i piedi come cavalli. (...)La prima sera mi è sembrato di sentire piangere una donna; un altro prigioniero stava chiamando sua madre».

Pell è stato messo in isolamento per proteggerlo da aggressioni. La legge non scritta del carcere verso i pedofili è implacabile. «Sono stato minacciato in questo modo solo una volta, quando ero in una delle due aree di esercizio adiacenti separate da un muro alto, con un’apertura all’altezza della testa. Mentre camminavo lungo il perimetro, qualcuno mi sputò attraverso il filo della mosca dell’apertura aperta e cominciò a condannarmi. È stata una sorpresa totale, quindi sono tornato furioso alla finestra per affrontare il mio aggressore e rimproverarlo. Si allontanò dalla mia linea frontale dalla mia vista ma continuò a condannarmi, come un “ragno nero” e altri termini tutt’altro che complementari. Dopo il mio rimprovero iniziale, rimasi in silenzio, anche se in seguito mi lamentai che non sarei uscito per esercitarmi se quell’uomo fosse stato accanto. Circa un giorno dopo, il supervisore dell’unità mi disse che il giovane colpevole era stato spostato, perché aveva fatto “qualcosa di peggio” a un altro prigioniero».

Esattamente come era divisa l'opinione pubblica sulla colpevolezza di Pell, anche in carcere il suo caso ha suscitato polemiche. «L’opinione sulla mia innocenza o colpa era divisa tra i prigionieri, come nella maggior parte dei settori della società australiana, sebbene i media con alcune splendide eccezioni fossero amaramente ostili. Un corrispondente che aveva trascorso decenni in prigione ha scritto che ero il primo prete condannato di cui aveva sentito parlare e che aveva un sostegno tra i prigionieri. E ho ricevuto solo gentilezza e amicizia dai miei tre compagni prigionieri nell’Unità 3 a Barwon. La maggior parte dei guardiani di entrambe le carceri riconobbe che ero innocente».

«L’antipatia dei detenuti verso gli chi abusa di un minore è universale, un interessante esempio della legge naturale che emerge attraverso l’oscurità. Tutti noi siamo tentati di disprezzare quelli che definiamo peggiori di noi stessi. Perfino gli assassini condividono il disprezzo verso coloro che violano i giovani. Per quanto ironico, questo disprezzo non è affatto negativo, in quanto esprime la convinzione dell’esistenza di giusto e sbagliato, buono e cattivo, che spesso emerge nelle carceri in modi sorprendenti».
 

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